La curva dei rendimenti statunitensi ha storicamente rappresentato un barometro accurato delle prospettive economiche. Ma secondo James McAlevey é sbagliato concludere che il recente appiattimento prefiguri una recessione.
5 minuti di lettura

La forma della curva dei rendimenti statunitensi è attentamente osservata dai mercati finanziari per una buona ragione. Dopo tutto, una curva dei rendimenti invertita, in cui il debito a breve termine genera rendimenti superiori rispetto al debito con scadenze più lunghe, ha costituito un’accurata avvisaglia delle ultime sette recessioni negli Stati Uniti, a partire dagli anni Sessanta.
Sebbene la curva USA al momento non sia invertita, nel corso del 2017 ha registrato un appiattimento apprezzabile in quanto i rendimenti delle obbligazioni statunitensi a lungo termine sono scesi al minimo da oltre un anno a questa parte. Come si può osservare nel Grafico 1, la flessione dei rendimenti delle obbligazioni a lungo termine ha fatto scendere lo spread tra il rendimento del debito a due e dieci anni a 77 punti base, in prossimità del livello minimo degli ultimi dieci anni e in calo rispetto al massimo di 136 punti base, toccato a dicembre sulla scia della vittoria elettorale di Donald Trump. Ciò ha indotto molti a concludere che il mercato obbligazionario potrebbe essere in procinto di subire un’inversione, indicante una potenziale incombente recessione.
Grafico 1 – Rendimento governativo USA a 10 anni meno 2 anni

Circostanze eccezionali
Poiché le curve hanno storicamente registrato un’inversione in caso di imminente recessione economica, le ragioni per cui gli investitori possano trarre questa conclusione sono comprensibili.
Questa analisi é tuttavia imperfetta. Analizzando la curva dei rendimenti in un’ottica tradizionale, questi investitori non tengono conto delle circostanze eccezionali ancora prevalenti, a un decennio dalla crisi finanziaria. I titoli di stato USA continuano a essere distorti e manipolati dale banche centrali. In questa fase, è pertanto imprudente forzare l’analisi delle potenziali implicazioni delle curve dei rendimenti per il futuro. Le informazioni in esse incorporate, in termini di ciò che potrebbe succedere all’economia, sono scarne, se non inesistenti.
Ciò non equivale a negare che i fattori fondamentali abbiano svolto un ruolo negli sviluppi recenti. Dopo l’apprezzabile irripidimento registrato dalle curve dei rendimenti lo scorso anno, sulla scia della convinzione che la vittoria elettorale di Donald Trump si traducesse in una crescita economica più forte, l’inversione di quest’anno è in parte imputabile al fatto che I mercati cominciano a mettere in dubbio tale eventualità. Questa dinamica è stata corroborata dall’indebolimento dei dati relative all’inflazione.
Le banche centrali provocano un crollo della volatilità
Tuttavia, i fondamentali spiegano soltanto in parte l’appiattimento della curva. Le banche centrali, che hanno continuato ad espandere i propri bilanci, hanno verosimilmente svolto un ruolo ancora maggiore. Il perdurante allentamento quantitativo (QE) da parte della Banca Centrale Europea e della Bank of Japan ha contribuito ad alimentare la domanda di Treasury USA da parte di Europa e Giappone.
Altre banche centrali hanno assorbito Treasury in modo più diretto. Il deprezzamento del dollaro di quest’anno ha determinato un notevole aumento del volume degli afflussi di capitali verso le nazioni emergenti. Molte delle banche centrali di questi paesi hanno pertanto acquistato dollari USA per evitare un deprezzamento delle loro valute. Questi dollari sono stati in numerosi casi reinvestiti in Treasury.
Il dato fondamentale è che queste banche centrali tendono a non essere sensibili ai prezzi in quanto non possono investire altrove i loro dollari. Al contempo, mentre lo scorso anno la People’s Bank of China ha venduto Treasury per ovviare a una flessione del proprio conto capitale – all’epoca in contrazione – e sostenere la valuta cinese, quest’anno ha ripreso ad acquistarli. Di conseguenza, contrariamente allo scorso anno, quando si è registrato un calo della domanda complessiva di Treasury, quest’anno la domanda è aumentata. Sebbene il periodo post-crisi sia stato caratterizzato da un regime di bassa volatilità, l’ulteriore crollo della volatilità di quest’anno è stato ragguardevole. Sembra che l’ampiezza degli acquisti insensibili ai prezzi da parte delle banche centrali, indipendentemente dagli andamenti delle emissioni, abbia impedito al mercato di muoversi.
Ciò si traduce nell’incapacità di rispecchiare qualunque grado di informazioni trasmesse. Le variazioni dei prezzi giornaliere si limitano a due - tre punti base, circa la metà dei livelli storici e una frazione dei livelli tipici del periodo immediatamente successivo alla crisi, quando non vi era alcun allentamento quantitativo.
Stretta correlazione
Il crollo della volatilità spiega in ultima analisi gran parte dell’appiattimento della curva dei rendimenti quest’anno. Come si può osservare nel Grafico 2, eccettuato l’immediato periodo post-crisi finanziaria, la volatilità e la forma della curva dei rendimenti USA (rappresentata dai rendimenti a dieci anni meno quelli a due anni) hanno storicamente evidenziato una stretta correlazione.¹

Grafico 2 - Correlazione tra volatilità e forma della curva dei rendimenti USA
Vi è una spiegazione razionale a tale fenomeno. Una curva dei rendimenti piatta è congruente con una bassa volatilità perché non vi è alcuna differenza tra le curve “a pronti” e “a termine” e non si prevedono variazioni dei rendimenti nel tempo. Una curva dei rendimenti ripida è invece congruente con una volatilità più elevata, in quanto segnala aumenti dei tassi in futuro. Sebbene non vi sia modo di trovare un compromesso formale tra le due posizioni, un contesto di bassa volatilità rende i carry trade relativamente interessanti in termini aggiustati per il rischio.
Quando la volatilità è bassa, i partecipanti al mercato sono in effetti incentivati a contrarre prestiti a breve termine a bassi tassi d’interesse allo scopo di investire in obbligazioni con scadenze più lunghe. Ciò spiega perché in tale contesto gli investitori tendono ad allocare capitali alle obbligazioni che presentano il carry più elevato (scadenze da cinque a dieci anni), il che tende a sua volta a fare salire il prezzo di tale debito, determinando un ribasso del suo rendimento e l’appiattimento della curva. Un ulteriore indice della misura in cui la curva dei rendimenti viene distorta dagli interventi delle banche centrali è dato dal premio a termine, ossia il rendimento addizionale che un investitore può attendersi in aggiunta a quello determinate dall’andamento atteso del tasso overnight dei mercati monetari.
Anche in un contesto in cui i tassi della liquidità sono destinati a restare invariati, gli investitori di norma dovrebbero attendersi un rendimento maggiore per gli investimenti in scadenze più lunghe. Tuttavia, non è più così. Come illustrato nel Grafico 3, il premio a termine sul debito decennale è crollato dopo dicembre e si è ora assestato a minimi storici.
Grafico 3 – Premio a termine decennale USA

Carry trade rischiosi
Molti investitori sembrano ipotizzare che questo denaro “gratis” sia destinato a restare per sempre e di conseguenza contraggono prestiti e li investono in carry trade. Questa pare tuttavia una tendenza sempre più rischiosa in un quadro in cui la Fed sta cominciando a ridurre il suo bilancio, soprattutto qualora il mercato rivaluti la prospettiva di un ritorno dell’inflazione verso l’obiettivo.
In assenza di un’intenzione delle banche centrali di manipolare il mercato, le distorsioni che sono state create dovrebbero gradualmente attenuarsi. Se da un lato la Fed desidera evitare un’attenuazione troppo repentina di queste distorsioni, come abbiamo osservato durante il cosiddetto “taper tantrum” nel 2013, dall’altro sarà soddisfatta di vedere una graduale ricostituzione dei premi a termine di circa 50 punti base nei prossimi due anni.
Sebbene la curva dei rendimenti tenda solitamente ad appiattirsi in un contesto di aumento dei tassi d’interesse, riteniamo che sia piuttosto possibile l’opposto, a mano a mano che il premio a termine comincia a normalizzarsi. Benché quest’anno la crescita economica sia stata ragionevolmente forte, il mercato obbligazionario sembra concentrarsi maggiormente sull’inflazione. Tuttavia, metteremmo in guardia dal trarre eccessive interpretazioni dai recenti dati sull’inflazione. Come la Fed, restiamo del parere che una crescita più forte alla fine si tradurrà in una ripresa dell’inflazione, seppure graduale.
A fronte delle tensioni sul mercato del lavoro e del ritmo vivace di crescita economica, la Fed sarà alla fine costretta a intervenire in modo più aggressivo rispetto a quanto previsto dal mercato. Ci sono altri fattori che impongono l’intervento della Fed. La banca centrale tende a parlare in misura crescente delle condizioni finanziarie, che hanno continuato ad allentarsi con il calo del dollaro, la contrazione degli spread creditizi e il rialzo delle azioni.
Ciò non sorprende in considerazione del fatto che il credito sta ora accumulandosi in aree del sistema finanziario che erano rimaste sostanzialmente inattive per gran parte del periodo post-crisi. Il succo è che i tassi USA sono destinati a salire per varie ragioni e non semplicemente a causa dell’attuale livello d’inflazione. Per quanto riguarda cosa significhi questo per la curva dei rendimenti USA, la domanda insensibile ai prezzi da parte delle banche centrali estere ha provocato profonde cicatrici durature nel mercato e ha rappresentato il principale propulsore dell’appiattimento della curva dei rendimenti quest’anno. In questo momento, la curva è comunque molto più indicative della posizione effettiva del premio a termine e spiega poco in termini di prospettive economiche per il paese.
Sebbene, alla luce del ciclo economico ora maturo, sia comprensibile che alcuni investitori comincino a scommettere su una recessione, è probabile che resteranno delusi. Ci attendiamo un ulteriore aumento dei tassi a breve e non saremmo sorpresi se la curva dei rendimenti subisse in effetti un irripidimento.