La Cina è destinata ad attirare più capitale straniero, il che potrebbe avere grandi implicazioni per coloro che investono nel debito dei mercati emergenti.
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L’economia cinese, pur sovrastando la maggior parte dei suoi omologhi nei mercati emergenti, tradizionalmente non ha mai attirato ingenti flussi di capitali esteri, non commisurati alle sue vaste dimensioni. Questa situazione potrebbe volgere presto al termine.
Due fattori chiave stanno portando la Cina ad accumulare più capitali esteri. Il primo è la diminuzione dell’eccedenza delle partite correnti. Gli analisti di Morgan Stanley prevedono che quest’anno la Cina registrerà un deficit, per la prima volta dal 1993.1 Il governo sta allentando le normative vigenti sugli investimenti esteri, nell’intento di sopperire al disavanzo.
Il secondo fattore è l’inclusione della Cina in diversi indici del mercato globale. Il peso delle azioni cinesi di tipo A nell’indice azionario MSCI EM è in aumento, e la Cina é sull’orlo di unirsi ai principali benchmark del reddito fisso, il che potrebbe potenzialmente innescare deflussi da altre componenti dell’indice. La combinazione di questi sviluppi si traduce, probabilmente, in un aumento della concorrenza per accaparrarsi i capitali tra le economie emergenti più piccole che dipendono dai finanziamenti esteri.
Vi sono legittime preoccupazioni circa lo spostamento in massa del capitale globale verso la Cina e sulla possibilità che ciò comporti un calo dell’offerta di capitale per gli altri mercati emergenti, esponendoli a condizioni finanziarie più rigide e a tassi di crescita più bassi nel corso del tempo.
Il calo delle eccedenze
Nel 2007, l’avanzo delle partite correnti della Cina era pari a circa il 10% del PIL, ma, secondo i dati ufficiali, a fine 2018 era sceso allo 0,4%. A incidere sono state le avversità di breve periodo: la controversia sui dazi tra Stati Uniti e Cina ha penalizzato le esportazioni e l’aumento delle importazioni di materie prime ha reso la bilancia delle partite correnti della Cina più sensibile ai prezzi petroliferi globali.
A più lungo termine, la Cina riuscirà probabilmente ad evitare deficit persistenti. Malgrado i tentativi del governo di riequilibrare l’economia verso una crescita trainata dai consumi, il tasso di risparmio interno della Cina rimane elevato, intorno al 45% del PIL. Gran parte di questi risparmi è stata risucchiata da pacchetti di stimoli fiscali su larga scala, ma, via via che la Cina abbassa i suoi obiettivi di crescita e allenta gli stimoli, secondo Saroliya, è probabile che il saldo delle partite correnti si stabilizzi in territorio positivo.
Tuttavia, la recente flessione del surplus della Cina ha fornito al governo un incentivo per liberalizzare il sistema finanziario e per attirare più capitali stranieri. Inizialmente Pechino aveva limitato l’accesso ai mercati onshore, consentendo solo a un gruppo selezionato di investitori stranieri di parteciparvi attraverso il programma Qualified Foreign Institutional Investor (QFII), che emetteva quote ai fondi pensione e ad altre grandi istituzioni. Ora si stanno aprendo nuovi canali per offrire a una fetta più ampia di investitori l’accesso ad attività della Cina continentale denominate in RMB.
Il China Interbank Bond Market e il Bond Connect, che si avvale della stessa infrastruttura di cambio dello Shanghai-Hong Kong Stock Connect, hanno consentito agli investitori obbligazionari stranieri un accesso molto più ampio al mercato cinese onshore.
“Una conseguenza significativa di queste mosse verso la liberalizzazione del mercato è che hanno spianato la strada all’inserimento della Cina negli indici globali, i cui portafogli di inclusione devono essere replicabili per gli investitori internazionali”, ha aggiunto Ritson.
Inclusione nell’indice
Il processo è iniziato con le azioni. Le azioni cinesi ad alta capitalizzazione di tipo A sono presenti nell’indice MSCI Emerging Markets dalla metà del 2018 e la loro ponderazione è in fase di aumento, fino a oltre il 3% dell’indice, in un processo di ribilanciamento in due passaggi previsti per il 2019. Dato che l’indice MSCI viene replicato da fondi attivi e passivi dal valore di oltre 2 trilioni di USD, nei prossimi sei mesi, questo ribilanciamento potrebbe comportare, secondo le stime di UBS, deflussi pari a 40-55 miliardi di dollari da altri mercati emergenti.2
Una volta che la Cina sarà inserita anche nei principali indici obbligazionari, è probabile che avvenga una riallocazione analoga del capitale anche nel comparto a reddito fisso. L’indice Bloomberg Barclays Global Aggregate è stato il primo del suo genere a inserire la Cina, lanciando il 1° aprile 2019 un periodo di inserimento graduale di 20 mesi. Nella lista per l’inclusione ci sono i titoli di Stato cinesi e le obbligazioni emesse da istituti di credito pubblici per finanziare progetti statali.
Tutto ciò sta già influenzando i flussi di capitale. Un’analisi Reuters dei dati ufficiali mostra che, alla fine di aprile, i titoli di Stato cinesi detenuti all’estero avevano raggiunto il livello più alto mai registrato, pari a 1,1 trilioni di RMB (163,7 miliardi di dollari USA), con un aumento di 19 miliardi di RMB rispetto al mese precedente.3 Nel complesso, secondo le nostre stime, l’inclusione nell’Indice Global Aggregate potrebbe portare a un afflusso di 100 miliardi di dollari a favore delle obbligazioni cinesi.
Il mercato cinese delle obbligazioni in valuta locale potrebbe crescere di altri 120 miliardi di dollari se la Cina sarà inserita nell’indice FTSE World Broad Investment Grade Bond, che dovrebbe annunciare una decisione in merito all’inclusione della Cina il prossimo settembre. La Cina è presente anche nella watchlist di JPMorgan Chase & Co che sta passando al vaglio l’ipotesi di inserirla in altri due indici: l’indice JPM GBI-EM Diversified e l’indice EMBI Global Diversified, con il potenziale di incrementare di altri 20-30 miliardi di dollari l’arrivo di capitali.
Implicazioni per gli investimenti
L’ammontare complessivo di afflussi previsto è relativamente moderato nel contesto di un mercato obbligazionario cinese dal valore di 13 trilioni di dollari, ciononostante il risultato netto sarà positivo per i prezzi dei titoli di Stato cinesi. Questo trend potrebbe anche sortire un impatto macroeconomico più ampio, accelerando l’ascesa dello yuan verso lo status di valuta di riserva internazionale, che, a lungo termine, potrebbe incentivare maggiori investimenti esteri nel mercato obbligazionario corporate cinese.
“Il capitale che gravita verso la Cina proverrà sia dai gestori che replicano passivamente i benchmark, sia dagli investitori attivi, desiderosi di approfittare degli interessanti rendimenti corretti per l’inflazione delle obbligazioni cinesi. Le correlazioni tra il reddito fisso cinese e i mercati sviluppati sono state tradizionalmente basse, il che offre ai gestori attivi ulteriori vantaggi in termine di diversificazione”, ha dichiarato Ritson.
Altrove, le conseguenze potrebbero tuttavia essere negative, in quanto una parte consistente del capitale che confluisce verso le obbligazioni cinesi potrebbe essere riallocato da altri mercati emergenti. Il rischio è più alto per le economie più piccole presenti negli indici JPMorgan in valuta locale, le quali tendono a dipendere dai capitali esteri.
Se la Cina sarà aggiunta all’indice GBI-EM, come previsto, è probabile che la sua ponderazione raggiungerà il tetto massimo del 10% dopo un periodo di attuazione di almeno dieci mesi, il che ridurrebbe la ponderazione disponibile per gli altri componenti dell’indice. Morgan Stanley stima che, per esempio, la quota della Colombia nell’indice potrebbe diminuire dell’1,5%, con un potenziale deflusso di 2 miliardi di dollari dalle obbligazioni colombiane.
I bassi rendimenti offerti dalle obbligazioni cinesi potrebbero tuttavia smorzare alcuni degli effetti a catena causati dall’inclusione della Cina negli indici EM. “Dato che le obbligazioni cinesi rendono meno di quelle di molti mercati più piccoli presenti nell’indice, è probabile che alcuni investitori assumeranno un sottopeso verso la Cina per mantenere un’allocazione più elevata negli altri mercati. L’attuazione graduale, inoltre, dovrebbe limitare eventuali distorsioni. Tuttavia alcuni mercati obbligazionari, come la Malesia e la Russia, potrebbero assistere a deflussi relativamente significativi, il che introdurrebbe un fattore tecnico negativo di cui gli investitori dovrebbero tenere conto, unitamente ad altri rischi macroeconomici,” ha affermato Ritson.
Fattori di presa ed elementi deterrenti
Dal momento che la Cina esercita un’attrazione gravitazionale sempre più forte, è probabile che sui mercati emergenti si intensificherà la concorrenza per accaparrarsi i capitali stranieri. Tuttavia, esistono delle contromisure che i decisori politici possono adottare per assicurarsi di continuare ad attirare la giusta quota di investimenti.
Numerose ricerche accademiche hanno mostrato che, sebbene i flussi di capitali sono influenzati dalle condizioni macroeconomiche globali, come la politica monetaria nelle economie avanzate, i fattori di “presa” specifici di ciascun paese svolgono un ruolo importante nel determinarne o meno il successo. Gli studi sui flussi globali di capitale hanno rilevato che la qualità delle istituzioni nazionali, i rischi idiosincratici di ogni paese e la solidità dei fondamentali sono stati i principali motori di traino del capitale nel periodo successivo alla crisi, insieme a fattori di “spinta” come la propensione al rischio complessivo e i tassi di interesse statunitensi.4
“Questi risultati suggeriscono che i responsabili politici possono attrarre investimenti esteri migliorando la resilienza delle istituzioni nazionali e le politiche macroeconomiche. In un universo EM sempre più competitivo, questi fattori potrebbero essere decisivi nel determinare chi saranno i vinti e chi i vincitori”, ha aggiunto Ritson.
Riferimenti
- ‘The transformation of China's capital flows,’ nota di ricerca di Morgan Stanley, febbraio 2019
- ‘EM FX: Implications of the $140bn MSCI EM shift,’ UBS, marzo 2019
- ‘Foreign investors raise China holdings as index inclusion begins,’ Reuters, maggio 2019
- Marcel Fratzscher, ‘Push factors versus pull factors as drivers of global capital flows,’ Vox CEPR Policy Portal, agosto 2011