L'inversione della curva dei tassi ha fatto sorgere il timore che l'economia statunitense sia sull'orlo di una recessione. Secondo James McAlevey gli investitori dovrebbero però preoccuparsi più dei possibili effetti duraturi derivanti dal costante peggioramento delle finanze pubbliche del paese nell'ultimo decennio.
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Il punto di inversione. La massa critica. Il punto pivot di mercato. Gli investitori sono costantemente alla ricerca di indicatori di un'imminente inversione. Riconoscere i segnali significativi (e il loro possibile impatto sui prezzi degli immobili) è fondamentale per prendere buone decisioni di investimento.
Questo spiega in parte gli accesi commenti in merito alla cosiddetta inversione della curva dei tassi nel 2019. Ad agosto, per la prima volta dal 2017 i rendimenti sui titoli di Stato americani a due anni hanno superato quelli dei titoli a 10 anni, facendo scattare timori di un rallentamento dell'economia statunitense.
L'inversione della curva dei tassi ha preceduto gli ultimi cinque periodi di crescita negativa negli Stati Uniti
Questi timori sono comprensibili: l'inversione della curva dei tassi ha preceduto gli ultimi cinque periodi di crescita negativa negli Stati Uniti. Questo però non significa che sia imminente un crollo. Non sempre le inversioni predicono una recessione. Statisticamente è impossibile che un unico parametro possa indicare in modo affidabile la direzione di un'economia così vasta e complessa, dove entrano sempre in gioco anche altre variabili.
Un fatto saliente è che negli ultimi anni il term premium (premio per la scadenza, ossia il rendimento aggiuntivo che gli investitori chiedono per mantenere asset a lungo termine rispetto a quelli a breve termine) è crollato, in parte in risposta a fattori esterni come i bassi rendimenti in altri mercati globali, che hanno riversato grandi flussi di capitali sui titoli di Stato americani. Quando il term premium è basso, la curva dei tassi può invertirsi anche in assenza di una variazione della probabilità di recessione. Inoltre, i massicci interventi di quantitative easing (QE) posti in essere dalle banche centrali nell'ultimo decennio potrebbero aver compromesso la capacità della curva dei tassi di lanciare segnali economici attendibili.
Il term premium è crollato negli ultimi anni, in parte in risposta a fattori esterni come i bassi rendimenti in altri mercati globali
Ad ottobre la curva dei tassi ha assunto una forma più ripida, allentando i timori di una recessione. Questo non significa che l'economia americana non abbia però problemi. Con l'inizio del 2020, il disavanzo di bilancio continua ad ampliarsi e il peso del debito continua ad aumentare. Il peggioramento delle finanze pubbliche americane potrebbe diventare, insieme ai conseguenti effetti sul mercato e sull'economia, la tematica che terrà banco nei prossimi dieci anni.
Occupazione e disavanzo
Per avere un'indicazione dei possibili guai all'orizzonte, basta guardare il grafico 1 che segue. Esso mostra la correlazione tra il deficit di bilancio degli Stati Uniti e il tasso di disoccupazione del paese a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale. Quando cresce il numero di persone occupate, il deficit di bilancio tende a scendere.
Grafico 1: è venuta meno la correlazione tra il deficit degli Stati Uniti e il tasso di disoccupazione

Questa correlazione è intuitiva: quando l'economia va bene il governo tende a godere di maggiori entrate fiscali e a spendere meno per sussidi di disoccupazione e altre prestazioni. Quando l'economia arranca, vale l'opposto: dopo la crisi finanziaria globale del 2008-2009, il deficit di bilancio e il tasso di disoccupazione sono schizzati di pari passo. Le uniche eccezioni a questa regola sono rappresentate da brevi periodi nei primi anni Cinquanta e a metà degli anni Sessanta, quando il governo spendeva molto per le guerre rispettivamente di Corea e Vietnam, anche se la disoccupazione era relativamente bassa.
Il deficit aumenta da quattro anni di fila: è la prima volta che accade dai primi anni '80
Come mostra il grafico che segue, però, la correlazione tra disoccupazione e disavanzo si sta nuovamente interrompendo: un corso degli eventi senza precedenti in tempo di pace. Il principale fattore di questa tendenza è l'attuale politica fiscale prociclica dell'Amministrazione. Con il presidente Trump, gli Stati Uniti hanno tagliato i tassi e hanno aumentato la spesa anche se l'economia è in salute e la disoccupazione cala. Dalla sua elezione nel 2016 il deficit è aumentato di quasi il 50%.
Secondo i dati della Tesoreria americana, a fine settembre il deficit era salito a 984 miliardi di dollari, pari al 4,6% del PIL. Si tratta del valore più alto dal 2012, epoca in cui la disoccupazione era al 7%, oltre due volte i livelli attuali. Da settembre 2018 il divario tra le entrate e le uscite è salito del 26%, pari a 205 miliardi di dollari. Il disavanzo sale da quattro anni consecutivi: l'ultima volta era accaduto all'inizio degli anni '80, e potrebbe superare 1 trilione di dollari nel 2020.
Una nuova normalità?
Il presidente Trump usa periodicamente Twitter per proclamare la forza dell'economia statunitense, visti i massimi toccati dalle borse. Parla invece con minore frequenza della crescente montagna di debito del paese. Mantenendo l’attuale politica fiscale, il debito complessivo potrebbe salire a livelli record. Nel suo scenario di base, il Congressional Budget Office (CBO), un’organizzazione apolitica che analizza le finanze pubbliche americane, prevede che entro il 2050 il debito complessivo aumenterà dal 78% del PIL a fine 2019 al 144%, ben oltre il precedente picco di circa il 120% registrato durante la Seconda guerra mondiale (grafico 2).1
Le attuali politiche spingerebbero la spesa federale annuale dal 20,7% del PIL nel 2019 al 28,2% entro il 2049, in parte a causa della maggiore spesa obbligatoria per assistenza sanitaria. Con l'invecchiamento della popolazione, stanno aumentando i costi pro capite per il programma pubblico di assistenza sanitario Medicare e altri programmi di assistenza sanitaria (vedere grafico 3).
Grafico 2: proiezioni del debito pubblico mantenendo l'attuale politica fiscale

Grafico 3: spesa per prestazioni dovute secondo le attuali politiche/proiezioni demografiche

Con le elezioni alle porte, nel breve termine l'attuale Amministrazione probabilmente non intenderà tagliare la spesa né revocare gli sgravi fiscali. Molti politici del partito Democratico che sgomitano per affrontare Trump nel 2020 hanno preso l’impegno di estendere la copertura sanitaria nel caso in cui dovessero essere eletti.
Medicare-for-All farebbe aumentare i costi federali per spesa sanitaria di 34 trilioni di dollari nel primo decennio
L'Urban Institute, un think tank di centro-sinistra, calcola che Medicare-for-All, il sistema sanitario totalmente pubblico sostenuto da diversi importanti esponenti democratici, tra cui la candidata favorita prima delle primarie, Elizabeth Warren, farebbe aumentare i costi sanitari federali di 34 trilioni di dollari nel primo decennio. Una cifra superiore rispetto alla stima del CBO sui costi totali dell'assistenza sociale (Medicare e Medicaid insieme) nello stesso periodo.2 Secondo l’organizzazione apolitica Committee for a Responsible Federal Budget (CRFB), questi livelli di spesa richiederebbero un'imposta sulle retribuzioni al 32%, un'imposta sul valore aggiunto al 42%, una riduzione dell'80% della spesa federale non sanitaria, oppure l'aumento dell'equivalente del debito nazionale al 108% del PIL.3
Anche se i democratici dovessero moderare queste proposte, sembra remota le possibilità di una riforma strutturale che affronti la crescita dei costi dell'attuale sistema. In forte contrasto rispetto all'amministrazione Obama, che aveva concordato con i Repubblicani nel Congresso un piano per ridurre il deficit nel periodo post-crisi, attualmente vi è una scarsa propensione a tagliare il peso del debito.
Potremmo entrare in una 'nuova normalità', un'era in cui il deficit continua a crescere anche con l'espansione dell'economia
A luglio i Repubblicani e i Democratici hanno raggiunto un accordo per alzare il cosiddetto limite del debito fino al 2021, portandolo oltre il limite precedentemente concordato di 22 trilioni di dollari. Poiché il consenso politico favorisce l'ulteriore aumento di spesa, il limite potrebbe essere alzato ancora al momento debito. Potremmo entrare in una "nuova normalità", un'era in cui il deficit continua a crescere anche con l'espansione dell'economia.
La prossima recessione
Perché preoccuparsi del debito? Ad oggi, in quest’anno fiscale il governo degli Stati Uniti ha speso 376 miliardi di dollari per interessi sui titoli di Stato, più di quanto abbia speso complessivamente per istruzione e trasporti (vedere grafico 4). Ma i rendimenti dei titoli di Stato rimangono bassi e questi pagamenti risultano relativamente abbordabili in termini storici. Per gli Stati Uniti è ragionevole sfruttare l'opportunità di indebitarsi al fine di investire nelle infrastrutture altamente necessarie per migliorare la capacità produttiva dell'economia a lungo termine. Alcuni report segnalano che gli Stati Uniti stanno valutando di "bloccare" i tassi di interessi bassi emettendo titoli della durata di 50 anni.4
Poiché gli anziani tendono a risparmiare di più e a indebitarsi meno, l'invecchiamento della popolazione comporta un aumento dei tassi di risparmio
I commentatori più accomodanti sostengono che le stesse tendenze demografiche che stanno facendo lievitare i costi sanitari stanno anche bloccando i tassi di interesse, rendendo meno problematico un grande indebitamento. Poiché gli anziani tendono a risparmiare di più e a indebitarsi meno, l'invecchiamento della popolazione comporta un aumento dei tassi di risparmio, una riduzione della domanda di credito e minori costi di finanziamento. In Giappone, l'economia a più rapido invecchiamento nel mondo, il debito pubblico rimane sostanzialmente gestibile nonostante sfiori il 250% del PIL. Gli investitori sono persino disposti a pagare il governo giapponese per il privilegio di prestare ancora denaro, e il titolo di riferimento a 10 anni presenta ancora una domanda nonostante il rendimento negativo.
Grafico 4: ripartizione degli introiti e delle spese federali del governo statunitense, anno fiscale 2019

Vista la posizione dominante dell'economia statunitense e lo stato del dollaro come moneta di riserva mondiale, la domanda di titoli di Stato dovrebbe rimanere solida anche nel caso in cui il debito dovesse salire ai livelli giapponesi. Questo è il parere degli analisti di Goldman Sachs, che in un rapporto del 2018 affermano che "l'esperienza del Giappone conferma che è difficile immaginare una crisi del debito in un paese che emette debito nella propria valuta, presenta un tasso di cambio flessibile e controlla la propria banca centrale," pur ammettendo nel rapporto che la preponderanza di investitori giapponesi è un fattore che concorre a mantenere i tassi così bassi (a differenza degli Stati Uniti che vendono la maggior parte del proprio debito a soggetti esteri).5
Le economie che tagliano i tassi di interesse e aumentano la spesa di bilancio durante i periodi di recessione economica recuperano molto più rapidamente rispetto a quelle che non possono farlo
Questa analisi non considera però le difficoltà che un deficit importante presenta in caso di scenario economico avverso. In uno studio recente, alcuni docenti della University of California di Berkeley hanno indicato che lo "spazio di manovra" monetario e fiscale prima di un periodo di difficoltà finanziaria (quindi se il tasso di interesse ufficiale è prossimo al limite inferiore e se il rapporto debito-PIL è gestibile) ha un impatto significativo sulla performance economica nel periodo successivo alla crisi.
Quando un paese dispone di entrambi questi spazi di manovra politica, il crollo a seguito di una crisi è inferiore all'1%; quando non dispone di nessuno dei due spazi di manovra, il calo si avvicina al 10%.6 Per semplificare, le economie che possono tagliare i tassi di interesse e aumentare la spesa di bilancio durante i periodi di crisi economica recuperano molto più rapidamente rispetto a quelli che non possono farlo.
Gli Stati Uniti hanno ancora un residuo margine di manovra in termini monetari, nonostante gli ultimi tre tagli dei tassi operati dalla Federal Reserve nel 2019. Con l'aumento del deficit, il governo ha però un margine di manovra notevolmente ridotto sul fronte della politica fiscale. Anche se gli investitori continuano a prestare volentieri denaro agli Stati Uniti a bassi tassi di interesse, la storia dimostra che il consenso politico può svanire rapidamente nei momenti di crisi, limitando la capacità del governo di introdurre stimoli fiscali.
Una conseguenza di questa tendenza è la possibilità che dopo la prossima recessione globale il destino delle economie avanzate possa divergere notevolmente. Basta confrontare gli Stati Uniti con la Germania (grafico 4). Grazie al suo notevole surplus, la Germania dovrebbe disporre di “munizioni fiscali” per contenere l'impatto di una recessione nel caso in cui il Bundestag acconsentisse a questa manovra.
Alla luce dell'andamento del deficit e dell'ammontare del debito incombente per prestazioni dovute, la situazione negli Stati Uniti è più incerta. Forse le proiezioni "accomodanti" sono corrette, e il governo americano può continuare a prendere a prestito all'infinito senza conseguenze negative. Si tratta comunque di una proposta pericolosa da mettere alla prova durante il periodo di recessione.
Grafico 5: lo spazio di manovra fiscale varia tra i diversi paesi

Bibliografia
- 'An Update to the Budget and Economic Outlook: 2019-2029', Congressional Budget Office (CBO), 21 August 2019
- Linda J. Blumberg, John Holahan, Matthew Buettgens, Anuj Gangopadhyaya, Bowen Garrett, Adele Shartzer, Michael Simpson, Robin Wang, Melissa M. Favreault, and Diane Arnos, ‘From Incremental to Comprehensive Health Reform: How Various Reform Options Compare on Coverage and Costs’, Urban Institute, October 2019
- ‘Choices for financing Medicare for All: a preliminary analysis’, Committee for a Responsible Federal Budget, 28 October 2019
- Colby Smith and Tommy Stubbington, ‘US Treasury considers selling 50-year bonds’, Financial Times, 30 October 2019
- Dan Struyven and David Mericle, Goldman Sachs, 2018
- Christina D. Romer and David H. Romer, ‘Why some times are different: macroeconomic policy and the aftermath of financial crisis’, University of California, Berkeley, October 2017