Il professore di cattura e stoccaggio del carbonio presso l’Università di Edimburgo argomenta perché raggiungere l’obiettivo di azzeramento delle emissioni necessita di più tecnologie e spiega il pensiero che è alla base del carattere evolutivo del Regno Unito.

Quasi dieci anni dopo che il governo britannico ha abbandonato quello che sarebbe stato il primo progetto industriale al mondo per la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS)1 , la tecnologia è tornata alla ribalta.

Nel suo documento Ten Point Plan for a Green Industrial Revolution2 , pubblicato lo scorso novembre, il governo ha descritto la tecnologia CCS (un processo in cui il biossido di carbonio è catturato dalla generazione di energia, dalla produzione di idrogeno e dai processi industriali e stoccato in profondità nel sottosuolo) come una “nuova ed entusiasmante industria” in grado di “rivitalizzare i luoghi di nascita della prima rivoluzione industriale”.

Il governo ha aggiunto che intende investire fino a 1 miliardo di sterline per sostenere la tecnologia CCS in quattro cluster industriali, creando “SuperPlaces” in aree come il Nord Est, l’Humber, il Nord Ovest, la Scozia e il Galles. Successivamente, a febbraio, è stata avviata una consultazione3  per raccogliere pareri su un possibile approccio alla messa in sequenza dell’introduzione dei cluster di CCS.

E allora, chi meglio di Stuart Haszeldine, Professore di CCS all’Università di Edimburgo, può fornirci un approfondimento sull’argomento? Noto esperto del settore, Haszeldine, che nel 2012 è stato insignito del grado di ufficiale dell’Ordine dell’impero britannico (OBE) per il suo impegno verso le tecnologie per il cambiamento climatico, fa parte del Carbon Capture, Usage and Storage Council, membro del comitato consultivo al dipartimento per le imprese, l’energia e la strategia industriale (BEIS).

Come sono cambiate le cose da quando il governo ha rimesso la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS) all’ordine del giorno?

Il Regno Unito ha combinato il proprio obiettivo di azzeramento delle emissioni con la strategia industriale avviata nel 2018. Il settore della decarbonizzazione è una priorità, dalla sostituzione dei combustibili all’eliminazione di CO2 dall’aria. È un tema che ha suscitato notevole attenzione, anche perché il governo sta elargendo 4 miliardi di sterline per co-finanziare nuove metodologie e attrezzature tecnologiche.

In realtà non abbiamo ancora visto nessun assegno. Hanno assegnato quote a vari raggruppamenti industriali, ma gli stanziamenti consistenti sono previsti entro la fine di quest’anno, il che comproverà la concretezza o meno di quanto affermano. I finanziamenti sono stati stanziati; ora devono essere spesi. Tutte le parti in causa pensano che non dovrebbe esserci concorrenza per un solo cluster. Abbiamo bisogno che tutti e cinque i cluster procedano di pari passo se vogliamo raggiungere gli obiettivi di riduzione del carbonio.

Il G8 ha dichiarato che il progetto CCS dovrebbe essere una priorità seria già nel 2005. Perché ci è voluto così tanto tempo?

In parte per l’obiettivo di azzeramento delle emissioni. Prima di allora si diceva semplicemente ‘sarebbe bello…un giorno dobbiamo intervenire sul clima’. Questa è stata in gran parte la storia dal 2005. I politici non hanno mai veramente capito che ripulire sarebbe costato un po' di più di non pulire.

L’analogia che farei è con il pagamento per i rifiuti urbani presenti nel nostro bidone personale della spazzatura. Quanto ci costa; 100 sterline all’anno? Tutti noi riteniamo che siano soldi ben spesi, di gran lunga preferibile rispetto a dover spazzare via i rifiuti che si trovano davanti casa del vicino, come abbiamo fatto finora.

Ho fatto parte del riesame condotto da Lord Oxburgh (ex presidente di Shell Transport and Trading), in cui abbiamo cercato di riprogettare il sistema di CCS nel Regno Unito. Invece di un megaprogetto, molto impegnativo da realizzare, abbiamo proposto di separare i singoli elementi. Ci sarebbe pertanto la ‘cattura’, poi il ‘trasporto’ e infine lo ‘stoccaggio’, e si dovrebbe essere pagati per quanto si effettua in ogni fase. Al momento siamo arrivati a questa conclusione, ma l’aspetto del pagamento non è stato ancora risolto. Questo è uno dei grandi anelli mancanti.

Con questo approccio, è possibile risparmiare enormi costi condividendo processi e siti di stoccaggio. Il passaggio ai cluster, quindi la separazione del rischio di cattura e dell’attività di cattura dagli elementi del trasporto e dello stoccaggio, sembra funzionare. (Cfr. la Figura 1 seguente per una valutazione dei progressi compiuti nel progetto CCS e in altre tecnologie a emissioni negative (NET)).

Figura 1: Valutazione di CCS e NET

Assessment of CCS and NET
Fonte: ‘Negative emissions technologies and carbon capture and storage to achieve the Paris Agreement commitments’, R.S. Haszeldine, Royal Society Publishing, aprile 2018

Quali sono le principali modifiche politiche necessarie per sbloccare la situazione attuale?

Abbiamo una politica sufficiente per portare avanti i primi progetti. Ciò comporta il pagamento con un contratto per differenza, che è ben consolidato nel mercato delle energie rinnovabili. Pertanto, chi desidera costruire una centrale alimentata a gas con CCS può avvalersi di un modello di business molto solido ed essere pagato attraverso la quantità di elettricità che fornisce. 

Ci sono comunque altre domande da porsi, come ad esempio che cosa accade se l’elettricità generata è leggermente più costosa dell’energia eolica. Cosa succede se non può essere venduta? 

Per il settore, l’idea sembra essere quella di avere un sistema di scambio di emissioni del Regno Unito, in cui tutti acquistano i permessi per emettere CO2, e il denaro derivante viene incanalato per pagare le persone che catturano CO2. Le industrie che attuano la cattura del carbonio saranno pagate per tonnellata, e questo consentirà loro di pagare il trasporto e lo stoccaggio. 

Ci tengo a precisare che entrambi i meccanismi rappresentano un ottimo inizio, ma non possono portarci verso l’obiettivo di azzeramento delle emissioni. Immaginate di essere al 90%della cattura, poi nove persone su 10 vogliono essere pagate e solo una pagherà le tasse a tutti gli altri. Chiaramente non ci porterà abbastanza lontano.

Noi proponiamo un meccanismo diverso in modo che, anziché concentrarsi sulle emissioni, come ha fatto la maggior parte dell’Europa, si crei un mercato per lo stoccaggio. Il governo deve definire un obiettivo di stoccaggio annuo, ad esempio l’1% di CO2, l’1% di carbonio importato o prodotto nel Regno Unito, e deve essere stoccato nel 2025. Ma il modo in cui viene realizzato spetta a chi lo produce, e i costi possono essere decisi anche da coloro che sono coinvolti nella reciproca concorrenza. Inoltre, entro il 2027, il governo potrebbe portare la soglia di stoccaggio al 5%, al 15% entro il 2030 e al 75% entro il 2035. 

Si tratta di un processo semplice basato su un mandato per lo stoccaggio. Questo rivoluziona le logiche, perché allontana l’enfasi dal concedere alle persone il permesso di acquistare le emissioni, di continuare a inquinare, e pone l’onere di ripulire l’inquinamento finale sui produttori di carbonio fossile o biocarbonio così come sono tenute a fare molte industrie europee. Ciò incorpora il costo delle emissioni o della pulizia nel costo del prodotto. 

Con questo approccio, le compagnie petrolifere potrebbero dover far pagare di più perché alla fine saranno responsabili della pulizia. Ma ritengo che ciò sia giusto e legittimo, rispetto al rilascio dei rifiuti nell’atmosfera globale.

Se lo facessimo, in ultima analisi, il consumatore sarebbe costretto a pagare. 

Sì, è così. L’altra questione è l’adeguamento delle frontiere del carbonio. Se vogliamo decarbonizzare più rapidamente del resto del mondo, non possiamo semplicemente aprire le porte alle importazioni ad alto contenuto di carbonio da altri paesi. Vuol dire che in realtà stiamo imponendo una tassa sul carbonio ai nostri confini, per i materiali che contribuiscono ai beni e ai servizi in entrata. Ma il processo inizia con un certo vincolo sul carbonio in entrata. Il vantaggio è che il governo non è tenuto a inventare un prezzo, poiché questo sarà scoperto nel corso del processo. Grandi aziende come Shell, BP e Acorn nel nord-est della Scozia saranno sostanzialmente in concorrenza sul prezzo e la qualità.

Un punto importante è che l’obbligo di restituzione del carbonio può essere unilaterale. Il Regno Unito potrebbe dichiarare che questo è il modo in cui raggiungeremo il nostro obiettivo di meno 100% entro il 2050. Agendo come descritto e imponendo alle persone l’obbligo di stoccare il carbonio se lo portano oltre i nostri confini, esse potrebbero trovare vantaggioso immagazzinare il carbonio là dove possono trarre un vantaggio dalla creazione di occupazione. Una volta dimostrato che l’approccio funziona, forse l’Irlanda, la Francia o la Norvegia potrebbero iniziare a fare la stessa cosa.

Mi preoccupa anche il fatto che una delle percezioni sul Regno Unito nell’impegno in materia di cambiamenti climatici sia che noi cerchiamo di inventare soluzioni, sperando che altri seguano e copino. Quello che stiamo facendo ora con il BEIS è cercare di elaborare sette diversi flussi di finanziamento. Contratti di elettricità per differenza, pagamenti per grandi industrie, pagamenti per l’idrogeno, un caso speciale per il cemento e così via. È complicato e richiede un esercito di funzionari pubblici. Mentre se lavoriamo sugli obblighi di restituzione del carbonio, si deve solo conoscere il numero di tonnellate di carbonio che entrano nel paese. È più facile da amministrare.

Ora che è in vigore la normativa per l’azzeramento delle emissioni, spera che l’incertezza politica diminuisca? 

Il modo in cui si ottiene la riduzione del carbonio, come stabilito dalla commissione per i cambiamenti climatici, ha molte alternative. Siamo stati in grado di ottenere fin da subito molti facili vantaggi, riducendo le emissioni di circa il 50% dal 1990, e ora diventa più difficile. 

La psicologia è importante. La difficoltà sta nel cercare di convincere la gente che è meglio muoversi presto, ma non si può necessariamente desiderare di essere i primi a meno che non si possa catturare l’intero mercato. Si desidera essere tra i primi, cosa che il Regno Unito sta cercando di fare. 

I vari paesi stanno adottando azioni diverse che sono più semplici per loro. È stato relativamente semplice per la Norvegia: hanno idroelettricità ed energia pulita in abbondanza, pertanto questo è un percorso ovvio. 

Ma noi abbiamo chiuso gli impianti di carbone dell’industria pesante, e ora dobbiamo pensare. Questo è il punto della nostra strategia industriale. Chiudiamo tutto il settore e poi ci vendiamo reciprocamente gli scarti? Oppure cerchiamo di far crescere il settore verso le basse emissioni di carbonio? Questo è ciò che stiamo cercando di fare nel Regno Unito, e questo è unico.

È evidente che abbiamo bisogno di progressi più rapidi per raggiungere gli obiettivi del 2050. Quanto siete certi del fatto che ciò accadrà e abbiamo gli strumenti giusti?

Un grande cambiamento industriale richiede da due a tre decenni. Se dobbiamo raggiungere il 2050 con gli strumenti che abbiamo ora, uno di questi include certamente le tecniche di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) e un altro sarà la cattura direttamente dall’atmosfera (DAC). Un prezzo massimo globale per la CO2 sarà fissato dal prezzo di cattura dall’atmosfera, perché è possibile farlo ovunque. Gli impianti di cattura verranno costruiti vicino ai centri di stoccaggio della CO2. Questa è una delle cose che stiamo iniziando a portare avanti in termini di ricerca e sviluppo.

Il prezzo della cattura si è già notevolmente ridotto. Il prezzo delle tecniche di CCS è sceso da circa 120 dollari a tonnellata di CO2 a 80 dollari a tonnellata. Anche il prezzo della DAC è calato, da 600 a circa 200 dollari a tonnellata. Inizieremo a cercare di sviluppare questo obiettivo nel Regno Unito. Invece di utilizzare il metano per riscaldare la cattura chimica, utilizzeremo l’elettricità eolica, e questo dovrebbe ridurre il prezzo e la produzione di carbonio.

Sono ottimista sul fatto che il prezzo della DAC scenderà a 150 dollari o persino a 100 dollari per tonnellata di CO2 catturata e stoccata. Qualsiasi cifra sotto i 200 dollari è molto competitiva. Le industrie dell’acciaio o del cemento possono catturare circa la metà delle loro emissioni, ma le altre parti diventano costose; potrebbero finire per dover pagare 500-600 dollari a tonnellata per l’ultima parte.

Ciò che potrebbero fare è catturare le parti facili da soli e poi acquistare certificati sul versante della cattura dall’atmosfera per adempiere al resto degli obblighi. Avere un tale vincolo significa che si sta creando un mercato fondato sulla certezza e la longevità. 

Come vede il ruolo del vento in tutto questo? 

Si può scegliere di usare l’energia eolica per l’elettrolisi per creare idrogeno o per creare elettricità a buon mercato per riscaldare il meccanismo di recupero chimico in apparecchiature di DAC. Si potrebbe portare la produzione dalle fattorie eoliche direttamente alle attrezzature. In tal caso il prezzo dell’elettricità è di soli quattro pence circa al kWh rispetto al prezzo di acquisto attraverso la rete pari a circa 14 pence. Acquistare all’ingrosso ed evitare la rete nazionale è una cosa intelligente da fare se si può posizionare l’attrezzatura là dove serve.

Dove possiamo ottenere i maggiori guadagni più rapidamente, tra CCS e DAC?

I vantaggi maggiori e più rapidi deriveranno dal supporto dei progetti strategici del settore. Ce ne sono alcuni grandi nel Regno Unito, ciascuno dei quali potrebbe catturare circa due milioni di tonnellate all’anno, con l’ambizione di arrivare fino a cinque o 10 milioni di tonnellate. Se il governo sostenesse tutti questi progetti, il Regno Unito potrebbe iniettare 10 milioni di tonnellate di CO2 all’anno entro il 2030 e stoccarle. Le cifre potrebbero addirittura eventualmente raddoppiare o triplicare, ed è a questo che dobbiamo mirare.

Questo è il motivo per il quale sarebbe opportuno avviare adesso i progetti di DAC perché potrebbero seguire a ruota. Potrebbero ridurre il restante 20 o 30% delle emissioni, che ciascuna di queste unità CCS non sarà in grado di gestire.

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Bibliografia