L’attenzione rivolta agli obiettivi netti pari a zero ha intensificato il controllo su misurazione e divulgazione delle emissioni di gas a effetto serra. Ma la contabilità del carbonio è un’arte giovane, spiega il Dott. Matthew Brander, docente senior presso l’Università di Edimburgo.

Le parti interessate devono assicurarsi che le rilevazioni avvengano in modo rigoroso ed equo.

L’introduzione di obiettivi formali netti pari a zero ha rivoluzionato il modo in cui paesi e aziende stanno esaminando e rendicontando le proprie emissioni di gas serra (GHG). Ma affinché gli obiettivi siano significativi, le parti interessate devono assicurarsi che le rilevazioni avvengano in modo rigoroso ed equo.

In questa serie di Domande&Risposte, il Dott. Matthew Brander, docente senior di contabilità del carbonio presso l'Università di Edimburgo, definisce i confini entro i quali stanno lavorando i contabili, e mette in evidenza le aree in cui la prassi generalmente accettata potrebbe essere inadeguata.

Quanto reputa precisi i dati sulle emissioni di carbonio pubblicati dalle società nei loro rendiconti?

Dipende dagli scopi di utilizzo dei dati, sarà questo a determinare il giusto margine. Per la contabilità aziendale e la pianificazione della mitigazione, è utile che le aziende si concentrino sulle proprie principali fonti di emissioni, ma non è necessaria una precisione assoluta. Se si effettua un inventario aziendale e si evidenziano emissioni consistenti provenienti dal parco macchine, si sa di dover attuare delle modifiche.

Tuttavia, i calcoli potrebbero anche avere uno scostamento che va fino al 20 per cento e la cosa non modificherà le decisioni da prendere. Se si è preoccupati di sottostimare le proprie emissioni, quando si tratta di acquistare il numero richiesto di compensazioni, è sempre possibile aumentare gli acquisti di compensazioni o persino raddoppiarli per farvi fronte. 

La questione della precisione è meno critica rispetto alla comprensione del valore della propria strategia di compensazione

A mio parere, la questione della precisione è meno critica rispetto alla comprensione del valore della propria strategia di compensazione. La cosa sta distraendo dall’affrontare la riduzione? O sta conducendo su una strada ad alte emissioni perché è possibile compensare a basso costo, lasciando potenzialmente esposti al rischio normativo se il prezzo per le emissioni di carbonio è esteso al proprio settore?

Vi è un crescente interesse nell'utilizzo dei dati aziendali sui gas serra per valutare il rischio legato al clima e, per gli investitori che prendono decisioni di investimento a impatto, per selezionare società a basse emissioni di carbonio. Numerose sono le questioni in merito alla comparabilità e ci si chiede se scegliere un'azienda con una bassa impronta di carbonio cambierà effettivamente le emissioni nell'economia reale. Forse l’azienda con un’impronta maggiore necessita di più capitale per decarbonizzarsi?

Questo ci porta a un’altra domanda: dove si trova la qualità nel mercato delle compensazioni?

Sì, si discute molto in questo ambito e più recentemente riguardo ai relativi adattamenti. Se si acquista un adattamento per il carbonio da un paese, il governo conta anche il valore del progetto di compensazione entro il proprio obiettivo pregiudicando, quindi, l’addizionalità?

Se si acquista un adattamento per il carbonio da un paese, il governo conta anche il valore del progetto di compensazione?

In una certa misura il problema è in funzione della finalità di tale credito energetico. Per gli utenti che desiderano affermazioni inequivocabili “abbiamo emissioni neutralizzate”, si potrebbe voler acquistare un credito di compensazione dal progetto di cattura e distruzione del metano, che probabilmente sarà supplementare, e verificare che il progetto abbia un adattamento corrispondente riflesso nei conti nazionali GHG.

Altri che acquistano crediti hanno motivazioni diverse e potrebbero semplicemente voler fare qualcosa di buono, con benefici sociali e ambientali, come evitare la deforestazione e migliorare la biodiversità.

Un non addetto ai lavori è in grado di leggere i bilanci di un’azienda e comprendere la strategia di gestione del carbonio?

Lo reputo difficile, nonostante le aziende scrivano relazioni informative per spiegare ciò che hanno fatto e perché, nell’ottica di un pubblico profano. Forse potremmo fare un parallelismo con le informazioni nutrizionali riportate sulle confezioni alimentari? La maggior parte delle persone non capisce il significato dei numeri e penso sia la stessa cosa per le informazioni sulle emissioni di carbonio. Imparare a comprendere tutte queste informazioni è difficile.

Quindi, è giusto dire che siamo molto lontani da un accordo su un regolamento trasparente?

Vi sono molte ricerche sulla rendicontazione sociale e ambientale; molti accademici in questo settore hanno concluso che si sta attuando un notevole “ecologismo di facciata”. Il motivo per cui le aziende divulgano informazioni sui gas serra o qualsiasi altra informazione potrebbe essere quello di legittimare le loro pratiche attuali. Dobbiamo difenderci da questo.

La contabilità finanziaria del carbonio riguarda le modalità di reporting del valore finanziario delle quote e delle passività di carbonio

Esiste una distinzione tra contabilità fisica GHG e contabilità finanziaria del carbonio. Sul lato fisico, l’unità di misura è la tonnellata di CO2, e vi è una ragionevole standardizzazione intorno ai protocolli.

La contabilità finanziaria del carbonio è diversa; si occupa principalmente della contabilizzazione delle quote di carbonio negoziabili. I partecipanti ai sistemi di scambio di quote di emissione hanno quote o obblighi di restituzione delle quote e la contabilità finanziaria del carbonio riguarda le modalità di reporting del valore finanziario delle quote e delle passività di carbonio. Ma non c’è alcun accordo su come farlo, quindi è difficile mettere a confronto i conti delle diverse aziende.

Dal punto di vista degli investitori, trovo utile concentrarsi su due diverse tipologie di pubblico interessate alle informazioni climatiche. Il gruppo più consistente è quello di chi è preoccupato per il rischio climatico, compreso il rischio fisico e reputazionale. Questi soggetti vogliono sapere quanto potrebbe essere esposta un’azienda partecipata.

L’altro gruppo è costituito da investitori a impatto, come la Chiesa d’Inghilterra, che non solo desidera ridurre l’esposizione al rischio, ma la utilizza per ridurre le emissioni. Questi soggetti hanno bisogno di altri tipi di informazioni per distribuire il capitale, in particolare informazioni sugli scenari futuri. Devono chiedersi: “Esiste un piano? Esiste una strategia per decarbonizzare? Sono credibili e quanto costano?” Se non ci sono risposte, dovrebbero votare contro la proposta all'Assemblea Generale o impegnarsi con il Consiglio. L’estrema sanzione sarà quella del “disimpegno”.

Le prassi di contabilità GHG nella loro forma attuale non dicono molto sul rischio climatico

Quando si tratta di divulgazione, il quadro suggerito dalla Task Force on Climate-related Financial Disclosures rappresenta il passo nella direzione giusta. Non riguarda solo le emissioni relative agli ambiti 1, 2 e 3, ma la strategia di un'azienda e l'esposizione a diversi rischi. È ancora presto, e al momento per lo più facoltativo, ma sarebbe bello che la cosa diventasse obbligatoria ovunque.

Ma le prassi di contabilità GHG nella loro forma attuale non dicono molto sul rischio climatico o sull’impatto delle decisioni di investimento.

Alcune aziende stanno mistificando i dati sulle emissioni di carbonio? 

È difficile sapere quanti siano gli imbrogli in atto. Vi è una prassi che ritengo fuorviante, relativa alla segnalazione del consumo di elettricità nell’ambito 2. Il metodo basato sul mercato consente alle aziende di acquistare certificati per l’energia rinnovabile e poi dire che le loro emissioni sono pari a zero perché la loro elettricità è coperta dai certificati. Ma ci sono molte prove che dimostrano che l’acquisto di certificati non aumenta la generazione rinnovabile.

Dovrebbero essere previste sanzioni per coloro che negano o alterano le informazioni

In sostanza, questo approccio porta a confondere chi arriva a sostenere di utilizzare le energie rinnovabili. Molte aziende stanno utilizzando lo stesso approccio, affermando che le emissioni derivanti dal consumo di elettricità sono pari a zero, anche se fisicamente l’elettricità viene fornita attraverso la rete, da chiunque la generi al momento.

Molte aziende operano in questo senso, non perché siano deliberatamente in malafede o perché stiano attuando un cinico imbroglio del sistema, ma perché il protocollo GHG lo consente. Altri utilizzano lo stesso sistema come modo economico per far apparire produzioni a basse emissioni.

Con l’aumentare del rischio di cambiamento climatico, dovrebbero essere previste sanzioni per coloro che trattengono o alterano le informazioni che potrebbero anche essere sostanziali.

Il trattamento contabile sta forse a indicare che non abbiamo raggiunto ciò che pensiamo di aver raggiunto?

È così. Nell’iniziativa Science-Based Targets, una parte delle riduzioni riportate non riflette riduzioni “reali”. Sono piuttosto il riflesso del trattamento contabile, che di per sé è essenzialmente un artificio contabile.

È un buon esempio di come la prassi aziendale della contabilità GHG abbia ancora molto da acquisire. Siamo in una fase in cui gli utenti delle informazioni GHG non le vedono come sostanziali. Se lo facessero, griderebbero forte la loro protesta contro le informazioni ingannevoli. Ma con l’aumento del rischio di cambiamento climatico, alcune prassi che non forniscono una rappresentazione significativa dell’intensità delle emissioni di carbonio di un’azienda o della sua esposizione al rischio legato al clima saranno esaminate molto più attentamente.

Il prezzo interno del carbonio è uno strumento utile o intrinsecamente difettoso? E a quale livello dovrebbe essere fissato?

Di recente, la Banca d'Inghilterra ha presentato il suo report riguardante la net zero1 che indicava il prezzo ombra del carbonio utilizzato nella propria pianificazione di scenario.

Un’attività sarà sostenibile nel 2030 se il prezzo del carbonio è di 150 dollari per tonnellata?

Le aziende che utilizzano il prezzo del carbonio interno sono libere di scegliere il prezzo che desiderano per la pianificazione, ma vale la pena esaminare le fonti esterne per trovare indicatori significativi. Questo è consigliabile se si prende un bene come una centrale elettrica alimentata a gas, che probabilmente avrà una vita utile di circa 30 anni. Sarà ancora sostenibile nel 2030 con un prezzo del carbonio a 150 dollari per tonnellata o si avrà un’attività bloccata?

Ci sono attualmente prassi di gestione del carbonio percepite come ecologiche che l’analisi dell’intera vita utile mostra non essere come appaiono a prima vista?

Ci sono stati molti articoli accademici sulla bioenergia e sui biocarburanti. La questione principale è il cambiamento indiretto dell’uso del territorio.

Se si ha una società energetica che aumenta la domanda di biomassa, questa può reperire il prodotto da una foresta gestita in modo sostenibile, ma questo potrebbe in definitiva dislocare un altro utente della risorsa. L’azienda energetica può effettuare la propria analisi per l’intero ciclo vitale, ma non includerà questi effetti mediati dal mercato, in cui l’azienda genera un cambiamento al di là della sua catena di valore. È probabile che tali azioni facciano aumentare il prezzo della biomassa legnosa, quindi i fornitori di tutto il mondo rispondono a quel segnale di prezzo e deforestano per soddisfare la dislocazione della domanda.

Modellare e stimare gli effetti mediati dal mercato è difficile. Quindi, quando un’azienda si converte alla bioenergia, non può sapere con certezza se le sue emissioni saranno potenzialmente inferiori o meno.

Che posizione secondo lei assume il governo nella guida alla transizione verso basse emissioni di carbonio?

In definitiva, è la politica governativa a portare a termine il cambiamento. Non possiamo chiedere agli investitori di rinunciare volontariamente ai rendimenti per ridurre le emissioni, e non possiamo chiedere alle aziende di raggiungere volontariamente lo zero netto perché incorreranno in costi derivanti dalla decarbonizzazione. Se si trovano di fronte un concorrente che non ha intrapreso questa via, perderanno.

Abbiamo bisogno di una politica chiara in materia di regolamentazione e di prezzi del carbonio

Ciò di cui abbiamo bisogno è una politica chiara in materia di regolamentazione e determinazione del prezzo del carbonio, per creare segnali di mercato in grado di garantire flussi di capitale verso i luoghi in cui è possibile ottenere i migliori rendimenti adeguati al rischio. Se il governo sarà in grado di creare un ambiente in cui le opzioni a basse emissioni di carbonio offrono il rischio più basso e il rendimento più elevato, e le opzioni ad alto tenore di carbonio avranno un rischio elevato e un rendimento basso, l’approccio funzionerà. In tal caso, non dovremo fare affidamento sull’imprevedibilità dell’azione volontaria e sulle complessità della contabilità del carbonio.

Nel Regno Unito, la decarbonizzazione della rete è stata ottenuta attraverso obblighi imposti sulle energie rinnovabili e contratti per differenza, semplici interventi politici che hanno portato a un massiccio dispiegamento di energia eolica e solare. Questo approccio non ha richiesto un’azione volontaria, ma ha creato un contesto di investimento che ha reso le energie rinnovabili allettanti.

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