A gennaio 2020, un gruppo di giovani attivisti per il clima ha tenuto una conferenza stampa al Forum economico mondiale di Davos. L’Associated Press ha pubblicato una fotografia dell’evento online: l’immagine mostrava la giovane svedese Greta Thunberg e altre tre donne bianche su uno sfondo di montagne innevate.
Ma mancava qualcuno. L’unica componente nera del gruppo, la ventitreenne attivista ugandese Vanessa Nakate, era stata tagliata fuori dalla foto. Quando ha educatamente twittato l’Associated Press per chiederne il motivo si è trovata al centro di un dibattito sul razzismo nel giornalismo, nonché nello stesso movimento in difesa del clima.
"Non meritiamo tutto questo. L’Africa è il continente che produce meno carbonio e nonostante questo è la regione che risente di più della crisi climatica”, ha in seguito affermato Vanessa Nakate in un videocomunicato pubblicato sui social media. “Cancellare le nostre voci non cambierà nulla. Cancellare le nostre storie non cambierà nulla.”1
Anche se l’Associated Press si è scusata, sostenendo che l’immagine fosse stata ritagliata “solo per motivi compositivi”, questo episodio ci ha ricordato del modo in cui gli abitanti del sud del mondo vengono sistematicamente ignorati nella lotta contro il cambiamento climatico. Tuttavia, grazie al lavoro di Vanessa Nakate e di altri come lei, il concetto di una transizione giusta, ossia un percorso più equo e inclusivo verso un futuro zero netto, sta prendendo piede tra i politici, i lavoratori e le imprese di tutto il mondo.
Una transizione giusta
Cominciamo dalla questione della giustizia. Le economie a basso reddito in Africa, Asia, America Latina e Oceania hanno storicamente immesso quantità ridotte di carbonio nell’atmosfera (cfr. Figura 1). Inoltre, in molti casi, risentono ancora dell’eredità del periodo coloniale, quando le potenze occidentali hanno brutalmente depredato le risorse dei paesi più poveri per promuovere il proprio sviluppo ad alta intensità di carbonio.
I paesi ricchi che hanno sfruttato il mondo hanno il dovere morale di contribuire a risolvere questa crisi in modo equo
“I paesi ricchi che hanno sfruttato il mondo hanno il dovere morale di contribuire a risolvere questa crisi in modo equo” afferma Steve Waygood, Chief Responsible Investment Officer di Aviva Investors “Anche dopo la fine del colonialismo, le società occidentali hanno estratto diritti di proprietà e licenze utilizzando accordi iniqui di condivisione dei profitti, il che significa che i poveri del mondo ne sono usciti perdenti.”
Per una crudele ironia della sorte, è improbabile che le economie in via di sviluppo siano ora in grado di sfruttare appieno quello che resta della loro ricchezza nel settore degli idrocarburi a causa dell’assoluta necessità di una rapida decarbonizzazione dell’economia globale. I loro governi si trovano ad affrontare il difficile compito di diversificare l’approvvigionamento energetico abbandonando petrolio e gas, facendo uscire al contempo i cittadini dalla povertà e incanalando i capitali verso costosi progetti di adeguamento e resilienza climatica.
“La transizione giusta in Africa si basa su una sola parola: socio-economia”, sostiene Richard Munang, Africa Regional Climate Change Coordinator del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP). “Se da un lato l’Africa è il continente che ha contribuito meno alle attuali emissioni che causano gli effetti del cambiamento climatico, in misura del due-tre percento, dall’altro ne risente in maniera sproporzionata a causa di una base socioeconomica estremamente svantaggiata.
“Sebbene gli effetti del cambiamento climatico siano globali, i poveri sono eccessivamente vulnerabili a causa della mancanza di risorse necessarie per potersi permettere beni e servizi in grado di contrastare gli effetti peggiori”, aggiunge Munang.
Anche nell’ambito delle nazioni più ricche, l’impatto fisico ed economico del cambiamento climatico tende a ricadere su coloro che non hanno i mezzi per proteggersi. Negli Stati Uniti e in Europa, una deindustrializzazione mal gestita ha creato una serie di aree abbandonate e impoverite, le cosiddette “rust belt”, e il clima estremo sta già danneggiando la classe lavoratrice e le minoranze, aggravando le disuguaglianze esistenti. Secondo una ricerca del New York Times, negli Stati Uniti, i bianchi hanno meno probabilità delle persone di colore di risentire delle calamità naturali e, quando ne vengono colpiti, hanno più probabilità di beneficiare degli aiuti pubblici.2
Figura 1: Emissioni storiche di carbonio per regione (miliardi di tonnellate)3

Nota: questo dato indica le emissioni di CO₂ provenienti solo dai combustibili fossili e dalla produzione di cemento – non è inclusa la variazione d’uso del suolo.
Fonte: Carbon Project
Diritti e capacità
Non deve andare per forza così. Un numero crescente di ricerche indica che una transizione energetica ben studiata può determinare una serie di benefici sia nei paesi ricchi che in quelli poveri, mitigando i problemi sociali e creando nuove opportunità di lavoro. Uno studio condotto dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, un’agenzia delle Nazioni Unite, ha rilevato che la transizione energetica potrebbe creare 24 milioni di posti di lavoro in industrie pulite di tutto il mondo, con una perdita di sei milioni di posti, ossia un guadagno netto di 18 milioni.4
La sfida è garantire che tali benefici siano ripartiti in modo uniforme. Uno dei modi per farlo è concentrarsi sulle capacità umane. Nato dal pensiero dei filosofi Martha Nussbaum e Amartya Sen, l’approccio delle capacità al benessere si basa sulla capacità delle persone di accedere alle risorse di cui hanno bisogno per raggiungere il loro pieno potenziale e difendere i loro diritti umani.
Il quadro delle capacità rafforza la domanda di un’azione per il clima
“Il quadro delle capacità rafforza la domanda di un’azione per il clima perché riconosce la necessità di legare quest’azione al benessere umano. Non è possibile soddisfare le proprie capacità se si vive un periodo di siccità pluriennale o in una città della rust belt in cui l’estrazione del carbone è l’unica fonte di lavoro”, afferma Sonja Klinsky, Associate Professor presso la School of Sustainability dell’Arizona State University e co-autrice di The Global Climate Regime and Transitional Justice.
Il quadro delle capacità contribuisce inoltre a codificare la base giuridica della transizione giusta. Il principio di comuni ma differenziate responsabilità e delle rispettive capacità, riconoscendo la necessità per l’azione per il clima di tener conto delle disparità tra le economie sviluppate e quelle in via di sviluppo, è stato sancito dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici già nel 1992.
Sebbene da allora i progressi siano stati lenti, Klinsky afferma che il livello di consapevolezza della necessità di realizzare una transizione giusta sta aumentando, per ragioni sia pragmatiche che etiche.
“Quando ho iniziato a lavorare in questo settore, nel 2005, c’era molto scetticismo. Tuttavia, negli ultimi anni, è diventato evidente che se non si integrano i bisogni e le esperienze vissute di coloro che stanno affrontando il cambiamento maggiore, non è semplicemente possibile ottenere ciò che si desidera. Detto questo, una cosa è essere consapevoli della questione, un’altra è mettere in atto quei tipi di politiche e azioni che ci consentirebbero di raggiungere questi traguardi”, aggiunge Klinsky.
Da globale a locale: l’azione per il clima e la transizione giusta
L’azione ai fini di una transizione giusta deve realizzarsi su diversi livelli: dagli accordi multilaterali alle responsabilità relative dei paesi e alla mobilitazione degli investimenti privati, alle politiche nazionali come le tasse sul carbonio, alle iniziative regionali e su base territoriale che promuovono le capacità delle comunità attraverso la transizione.
La transizione giusta si applica a tutti i livelli, da quello globale a quello nazionale fino alla località specifica
“La transizione giusta si applica a tutti i livelli, da quello globale a quello nazionale fino alla località specifica”, afferma Nick Robins, professore di Pratiche di finanza sostenibile presso il Grantham Research Institute della London School of Economics (LSE). “La gente parla di un approccio alla crisi climatica di “tutta la società”, “tutto il governo”, “tutto il mondo del business”, ed è esattamente ciò che serve per una transizione giusta”.
A livello globale, l’importanza di una transizione giusta è stata formalmente riconosciuta nell’Accordo di Parigi del 2015, che ha evidenziato la necessità di “[prendere] in considerazione gli imperativi di una transizione giusta della forza lavoro e la creazione di un lavoro dignitoso e di posti di lavoro di qualità conformemente alle priorità di sviluppo definite a livello nazionale”. Tuttavia, questo testo è apparso solo nella prefazione del documento, anziché nell’accordo vero e proprio.
“Stiamo sostenendo la transizione giusta solo a parole, siamo ancora lontani da una sua attuazione nei nostri piani di transizione”, afferma Fatima Denton, Director del United Nations University Institute for Natural Resources in Africa (UNU-INRA) e tra i principali autori del sesto rapporto di valutazione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change. “I nostri approcci sono spesso di tipo macro, il che sottovaluta la necessità di una giustizia sociale al servizio di un gruppo di persone che risentiranno in misura spropositata di una transizione verso lo sviluppo a basse emissioni di carbonio. Anche il termine “zero netto” ha implicazioni in termini di giustizia. Di quale zero netto parliamo?”
Anche il termine “zero netto” ha implicazioni in termini di giustizia. Di quale net zero parliamo?
La COP26 di Glasgow rappresenta un’opportunità per mettere in atto piani concreti per una transizione giusta. Ma anche prima dell’inizio della conferenza, gli attivisti per il clima provenienti dal sud del mondo hanno previsto che la conferenza potrebbe finire per essere un “compromesso dei paesi ricchi”, in particolare se i protocolli anti COVID-19 impediranno ai loro delegati di recarsi in Scozia.5
Gli organizzatori dicono che stanno allentando le regole anti-COVID per consentire la partecipazione di coloro che non sono stati in grado di accedere ai vaccini nei propri paesi d’origine, ma i non vaccinati dovranno comunque restare in quarantena a proprie spese. Secondo Maria Reyes, un’attivista per il clima proveniente dal Messico, questo indica un approccio elitario neo-coloniale: “Si impedisce la partecipazione di chi è colpito dalla crisi climatica. Appare chiaro quindi che questa sarà la COP più imperialistica di sempre.”6
Adeguamento e resilienza
Tuttavia, i delegati delle economie in via di sviluppo sono determinati a far sentire la propria voce. L’African Group of Negotiators on Climate Change (AGN) ha delineato una serie di priorità per la COP26, tra cui un nuovo quadro finanziario per il clima che consentirebbe alle economie africane di aumentare gli investimenti e soddisfare ambiziosi contributi determinati a livello nazionale (NDC).7
L’AGN, insieme al Climate Vulnerable Forum, che rappresenta miliardi di persone in Africa, Asia, Caraibi, America Latina e Pacifico, sta inoltre chiedendo ai paesi ricchi di mantenere gli impegni di sostegno dei progetti di adeguamento e resilienza climatica. Nel 2010, alla COP16 di Cancun, in Messico, le economie sviluppate avevano accettato di raccogliere 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020 a tale scopo, ma l’obiettivo non è stato ancora raggiunto e l’importo iniziale comunque potrebbe ormai essere insufficiente visto l’impatto del COVID-19 sulle finanze dei paesi più poveri. Secondo le stime delle Nazioni Unite, i costi annuali di adeguamento potrebbero raggiungere i 300 miliardi di dollari entro il 2030 e i 500 miliardi entro il 2050.8
A settembre, in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, sono stati fatti dei tardivi passi avanti quando il presidente americano Joe Biden ha promesso di raddoppiare gli aiuti ai paesi esposti in prima linea alla crisi climatica, portandoli a 11 miliardi di dollari, suscitando l’ottimistica speranza che altri paesi si sarebbero assunti impegni analoghi durante la COP26.9
L’African Group of Negotiators on Climate Change sottolinea che il sostegno alle iniziative dovrebbe essere fornito sotto forma di sovvenzioni anziché di prestiti
L’AGN vuole convogliare parte del capitale promesso all’African Adaptation Initiative, un’iniziativa di collaborazione tra diversi stati africani. Uno dei suoi programmi di punta mira a garantire che gli 80 milioni di persone che vivono nel bacino idrico del lago Ciad, un’area che si estende su cinque paesi, ricevano allerte preventive in caso di siccità e alluvioni, insieme a una dotazione di infrastrutture e tecnologie di protezione.10 l’AGN sottolinea che il sostegno a tali iniziative dovrebbe essere offerto sotto forma di sovvenzioni, anziché di prestiti che si aggiungerebbero soltanto al pesante indebitamento dei paesi interessati.
I sistemi di adeguamento, opportunamente progettati, possono apportare ulteriori vantaggi. “Se la parità di genere si intreccerà con i progetti di adeguamento, produrrà ulteriori benefici sociali ed economici”, afferma Denton. “Ad esempio, i governi dovrebbero fare uno sforzo consapevole per fornire dati relativi al clima alle donne agricoltrici. L’accesso a informazioni cruciali migliorerà le loro capacità di previsione, consentirà loro di prendere decisioni strategiche in campo agricolo e di affrontare i rischi agricoli legati all’incertezza che può provocare la scarsità dei raccolti.”
Gli esperti sottolineano che la resilienza è un concetto sia fisico che economico. Munang cita gli sforzi per promuovere l’adeguamento basato sull’ecosistema (EBA) nel settore agricolo in Africa, un approccio che limita i danni all’ambiente attraverso l’agricoltura e sfrutta la crescente domanda internazionale di cibo biologico e di origine sostenibile, rafforzando così la resilienza in entrambi i sensi del termine.
“L’EBA viene analizzato non solo in termini di capacità biofisica di ridurre al minimo i danni fisici dei cambiamenti climatici, ma anche per il suo valore socioeconomico, per creare opportunità di reddito per le comunità che in questo modo creano autonomamente un cuscinetto protettivo per loro stesse”, sostiene Munang.
Attività bloccate
Nel lungo termine, le economie in via di sviluppo dovranno diversificare completamente l’approvvigionamento energetico abbandonando i combustibili fossili, soddisfare i propri NDC ed evitare il rischio che le loro risorse naturali diventino antieconomiche, le cosiddette “attività bloccate”.
Un recente rapporto dell’UNU-INRA evidenzia che le economie africane si trovano ad affrontare un triplice rischio: essere “vincolate” alle infrastrutture basate sui combustibili fossili, essere “tagliate fuori” da una transizione verso l’energia pulita, per mancanza di accesso alle tecnologie correlate allo sviluppo a basse emissioni di carbonio, ed essere “estromesse” dal momento che le attività ad alta intensità di carbonio vengono trasferite nel sud del mondo.11
“È una situazione che si sta già materializzando ed equivale a “scaricare” le tecnologie sporche nei paesi in cui la legislazione è debole o in cui le tecnologie a basse emissioni di carbonio sono ancora in fase sperimentale”, afferma Denton.
I mercati internazionali del carbonio potrebbero dotare i paesi degli strumenti finanziari necessari per separare lo sviluppo dal degrado ambientale
Viste queste sfide, i paesi che attualmente dipendono dalle esportazioni di combustibili fossili probabilmente dovranno ritardare la transizione rispetto alle economie sviluppate, per avere il tempo di implementare piani economici sostenibili. Per questi paesi potrebbe aver senso massimizzare i ricavi derivanti dai combustibili fossili finché una strategia di questo tipo rimane economicamente sostenibile, investendo in strutture a valore aggiunto come le raffinerie petrolifere e mettendo in atto infrastrutture energetiche di follow-up a basse emissioni di carbonio. Il gas naturale, un’alternativa con minore impronta di carbonio rispetto a petrolio e carbone, potrebbe fungere da combustibile di transizione.12
La creazione di mercati internazionali del carbonio, nel frattempo, potrebbe dotare i paesi degli strumenti finanziari necessari per separare lo sviluppo dal degrado ambientale nel lungo termine, premiando la conservazione.
Prendiamo l’esempio del Gabon, un paese che ha cercato di proteggere vaste aree della foresta equatoriale, un importante carbon sink, o “pozzo di assorbimento di carbonio”, e che di conseguenza è un “sequestratore” netto di carbonio (gli alberi del Gabon assorbono circa un terzo del carbonio emesso dalla Francia, il suo ex colonizzatore).13 Grazie a un programma chiamato Central African Forest Initiative, il Gabon riceve già fondi per compensare le emissioni dai paesi europei; nel 2021, ha ricevuto un pagamento di 17 milioni di dollari dalla Norvegia, grande produttore di petrolio. Un mercato del carbonio più consolidato consentirebbe teoricamente al Gabon di vendere le sue quote di riduzione delle emissioni sotto forma di crediti.14
Combinare l’azione per il clima e lo sviluppo
Nel frattempo, i paesi più poveri stanno cercando di utilizzare fonti energetiche sostenibili per la decarbonizzazione e per stimolare il miglioramento del tenore di vita. Il Niger, situato nella regione arida del Sahel, ha recentemente annunciato la costruzione di una centrale fotovoltaica che migliorerà l’accesso all’energia tra le popolazioni isolate.15
L’utilizzo delle energie rinnovabili per migliorare l’accesso combina l’azione per il clima con lo sviluppo e può produrre benefici sociali più ampi
Come sottolinea Munang, l’accesso all’energia è una preoccupazione diffusa nell’Africa subsahariana. Coloro che non hanno accesso diretto alla rete elettrica spesso utilizzano generatori che “si bevono” litri e litri di combustibili fossili e che hanno un costo da tre a sei volte superiore ai prezzi pagati dai consumatori altrove. L’utilizzo delle energie rinnovabili per migliorare l’accesso combina perfettamente l’azione per il clima con lo sviluppo e può produrre benefici sociali più ampi.
In Bangladesh, ad esempio, è stato costituito un ente pubblico-privato per concedere prestiti a tassi di interesse bassi alle famiglie delle aree rurali ai fini dell’installazione di impianti solari in casa. Uno studio del programma ha rilevato che l’uso dell’elettricità solare ha alleggerito il carico di lavoro domestico per le donne e ha concesso loro la libertà necessaria per potersi dedicare ad attività generatrici di reddito.16
Distribuito su larga scala, questo tipo di iniziative inclusive e sostenibili potrebbe consentire alle economie a basso reddito di realizzare le proprie priorità sociali senza seguire il percorso di sviluppo ad alta intensità di carbonio calcato altrove. Le Figure 2 e 3, basate sulla ricerca dell’Università di Leeds, mostrano in che modo i paesi abbiano storicamente cercato di migliorare il tenore di vita sfruttando le risorse naturali e trasgredendo i limiti ambientali. Il segreto per una transizione giusta ed efficace è quello di spezzare questo legame.
Figura 2: Lo sviluppo sociale tendenzialmente ha un costo ambientale17

Nota: l’asse Y segue i progressi delle società in termini di indicatori sociali come l’istruzione e l’accesso all’elettricità, l’asse X mostra in che misura stanno sfruttando le risorse naturali per realizzare i propri progressi.
Fonte: Nature Sustainability, 2018
Figura 3: Le economie sviluppate (e alcune economie emergenti in rapida crescita) hanno raggiunto i propri obiettivi sociali trasgredendo i limiti ecologici18
MALAWI

CINA

USA

LS = soddisfazione della vita; IN = povertà di reddito; DQ = qualità democratica; LE = speranza di vita sana; EN = accesso all’energia; EQ = uguaglianza; NU = alimentazione; ED = istruzione; EM = occupazione; SA = sanità; SS = assistenza sociale
Nota: gli spicchi verdi mostrano l’uso delle risorse rispetto a un limite biofisico associato alla sostenibilità. Gli spicchi rossi mostrano le carenze al di sotto della soglia sociale (al centro di ciascun cerchio) o gli eccessi oltre il limite biofisico (sul bordo esterno).
Fonte: Nature Sustainability, 2018
Gli abbandonati
Nelle economie a medio e alto reddito che hanno già oltrepassato i limiti ambientali, spetta ai governi tagliare le emissioni in modo più rapido e drastico. In questo caso, le iniziative per una transizione giusta si basano sulla garanzia che le comunità più vulnerabili ricevano un sostegno adeguato, soprattutto nelle regioni tradizionalmente dominate da industrie ad alta intensità di carbonio.
L’Unione Europea ha introdotto un meccanismo per una transizione giusta che mira a mobilitare 65-75 miliardi di euro tra il 2021 e il 2027 per mitigare l’impatto sociale ed economico della transizione nelle aree interessate e che ha già fornito sostegno alle regioni produttrici di carbone in Slovacchia, Romania e Grecia. Vengono stanziati fondi per sovvenzioni, iniziative di riconversione professionale e di formazione.19
L’amministrazione Biden si è impegnata a integrare la transizione giusta in un massiccio pacchetto di sviluppo delle infrastrutture
Negli Stati Uniti, l’amministrazione Biden si è impegnata a integrare la transizione giusta in un massiccio pacchetto di sviluppo delle infrastrutture, il 40% dei suoi investimenti nelle energie pulite andrà alle comunità svantaggiate.20 Il piano comprende misure specifiche per proteggere le prestazioni pensionistiche dei lavoratori più duramente colpiti dalla transizione, come i minatori di carbone e i loro familiari a carico.
“Quella di una transizione giusta è ora una priorità in Europa e negli Stati Uniti. [La Presidente della Commissione Europea] Ursula von der Leyen ha chiarito che una transizione giusta è assolutamente fondamentale per l’azione per il clima”, afferma Robins della LSE. “Prendiamo ad esempio la strategia climatica del Presidente Biden: la sua priorità è il lavoro, ma anche la giustizia ambientale in tutte le comunità è una considerazione importante. Queste due grandi economie riconoscono ora la transizione giusta come un fattore determinante cruciale per affrontare il cambiamento climatico.”
Sembra che i governi stiano imparando le lezioni del passato, quando le politiche di transizione che ignoravano l’impatto sociale venivano accolte con forti critiche (vedi “Viva la carbon tax!” di seguito). Dei piani di transizione chiari e ben elaborati potrebbero inoltre produrre ulteriori benefici, sotto forma di quanto mai necessari investimenti.
Il ruolo della finanza
Finora, la finanza è stata lenta nel riconoscere l’importanza delle questioni sociali e riluttante ad effettuare il collegamento tra i fattori “E” ed “S” che costituiscono l’ESG. Ma il quadro sta cambiando, poiché la transizione giusta offre un obiettivo strategico attraverso il quale valutare e gestire il rischio. Una transizione disordinata aumenterà la vulnerabilità di alcune economie, il che comporta dei rischi per coloro che cercano di allocare i capitali.
“L’impatto fiscale del finanziamento della transizione climatica sulle economie in via di sviluppo, visti i livelli di debito già elevati, è un rischio chiave, soprattutto se la maggior parte dei costi è a carico dello stato”, afferma Carmen Altenkirch, Emerging Market Sovereign Analyst di Aviva Investors.
Affinché possa diventare accessibile ai paesi poveri, la transizione climatica deve essere finanziata sia dal settore privato che pubblico
“Per l’Africa sub-sahariana, una stima approssimativa suggerisce che il raggiungimento degli obiettivi climatici nell’ambito degli scenari di sviluppo sostenibile dell’Agenzia internazionale per l’energia costerebbe circa il cinque per cento del PIL su base annua. Il debito medio in tutta la regione è già al 56%, pertanto questi costi aggiuntivi rischiano di accelerare l’insostenibilità del debito. Affinché possa diventare accessibile ai paesi poveri, la transizione climatica deve essere finanziata sia dal settore privato che da quello pubblico e in ultima analisi deve essere in grado di promuovere la crescita”, aggiunge Carmen Altenkirch.
Uno dei modi per attirare i finanziamenti privati è quello di utilizzare nuovi strumenti. A giugno 2021, il Benin ha raccolto 500 milioni di euro attraverso l’emissione di obbligazioni direttamente legate agli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, impegnandosi a destinare i proventi a obiettivi ambientali e sociali pertinenti, tra cui l’accesso all’acqua e all’energia pulita, l’istruzione, la salute, alloggi decorosi, connettività, e la conservazione della biodiversità.21
Operazioni di questo genere restano un’eccezione. Le partnership pubblico-privato o le garanzie da parte dei governi e delle organizzazioni multilaterali, come la Banca Mondiale, potrebbero comunque aiutare, sbloccando più capitali per progetti di rilevanza sociale nelle economie in via di sviluppo che hanno rating del credito modesto o soddisfacenti, e rendendo i costi più accessibili.
“Per essere sostenibile, il costo delle obbligazioni verdi o sociali deve essere sostanzialmente inferiore rispetto agli Eurobond tradizionali, ma le recenti operazioni suggeriscono che finora non è stato così”, afferma Altenkirch. “Le garanzie multilaterali per aumentare il rating dell’emittente e ridurre il costo dell’emissione sarebbero di supporto. In ultima analisi, è necessario ampliare il pool di capitali per sostenere questi progetti, nonché la capacità dei paesi di attuare i progetti. Elementi quali una maggiore emissione di valuta locale per finanziare progetti verdi, investimenti azionari in società che sostengono la transizione verde, sovvenzioni e investimenti diretti esteri dovranno far parte della soluzione.”
Politica e coinvolgimento degli azionisti
Gli investitori possono inoltre svolgere un ruolo nell’interazione con i politici e le istituzioni multilaterali per garantire che i capitali siano convogliati laddove sono più necessari. Come sostiene Robins: “gli investitori hanno una voce molto influente presso i governi. A loro serve che i governi predispongano politiche climatiche di tipo investment-grade perché vi sono determinate misure che gli investitori non possono adottare: non possono fornire politiche di formazione o politiche regionali. Le politiche giuste possono sbloccare i capitali per la transizione giusta.”
Robins è fondatore di Financing the Just Transition Alliance (FJTA), che rappresenta quasi 40 banche, gestori patrimoniali (tra cui Aviva Investors) e altre organizzazioni finanziarie, insieme a sindacati e università. L’obiettivo è quello di individuare i modi in cui la finanza possa sostenere la transizione giusta. Il suo lavoro include la collaborazione con i governi per l’elaborazione di nuovi prodotti di investimento per convogliare i capitali verso le aree più bisognose.
Un esempio di transizione giusta trasferita alla realtà finanziaria è il recente programma di obbligazioni sovrane verdi del Regno Unito. Nel 2021, a seguito di una precedente proposta del Grantham Research Institute, del Green Finance Institute e dell’Impact Investing Institute, il governo britannico si è impegnato a raccogliere in quest’anno fiscale 15 miliardi di sterline tramite obbligazioni sovrane verdi e ha accolto la transizione giusta come parte del suo Green Finance Framework, impegnandosi a riferire sui co-benefici sociali della sua spesa (ad esempio, in termini di creazione di posti di lavoro).22
Il coinvolgimento, o engagement, può determinare risultati a livello societario
Il coinvolgimento, o engagement, può anche determinare risultati a livello societario. Incoraggiando le società a prendere in considerazione le implicazioni sociali e politiche della transizione, gli investitori possono contribuire a promuovere un cambiamento positivo attraverso il settore privato.
“Gli investitori stanno iniziando ad ammettere che sostenere una transizione giusta aiuta a mitigare i rischi sistemici in generale, unitamente ai rischi di transizione specifici cui si confrontano le società partecipate”, afferma Louise Wihlborn, ESG Analyst di Aviva Investors. “Le aziende devono essere consapevoli della “licenza ad operare” sociale e legale e dei rischi per la reputazione derivanti dal fatto di ignorare i diritti dei lavoratori e delle comunità.”
Il riconoscimento della transizione giusta è ancora nella fase iniziale nell’ambito societario. Uno studio del 2018 condotto dalla società di consulenza ESG Vigeo Eiris ha rilevato che sono pochissime le società energetiche che integrano l’impatto sociale nei propri piani di transizione e ristrutturazione (cfr. Figura 4). Per affrontare questa mancanza di urgenza, la FJTA raccomanda agli investitori di assumere un ruolo più attivo. Ha pubblicato un quadro di riferimento per il coinvolgimento degli azionisti che invita le società a integrare la transizione giusta nelle politiche retributive, nella pianificazione, nella gestione del rischio e negli accertamenti degli scenari, a salvaguardare i diritti dei lavoratori e delle comunità e ad applicare lavoro, diritti umani e due diligence ambientale in tutte le loro filiere.23
Figura 4: Sono poche le società energetiche che mostrano doti di leadership riguardo alla transizione giusta24

Fonte: Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment, 2018
Alcuni segnali indicano che l’emergente coinvolgimento degli investitori nella transizione giusta può effettivamente produrre dei risultati: in seguito ai colloqui con gli azionisti in occasione dell’assemblea generale annuale di agosto 2021, SSE, impresa del settore delle utility, è diventata la prima società a pubblicare un piano di transizione giusta, definendo 20 principi operativi, tra cui efficaci iniziative di consulenza e riconversione professionale per gli stakeholder.25
Ciononostante, c’è ancora molto da fare prima che tali impegni diventino una tendenza dominante. Uno dei problemi per gli investitori è la difficoltà ad ottenere dati sugli indicatori sociali che fungano da base per l’asset allocation e l’engagement. Il monitoraggio delle normative sui diritti umani nelle varie e complicate filiere internazionali rappresenta una particolare sfida, motivo per cui Aviva Investors chiede una legislazione più severa per garantire che le società rispettino i principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani.
“Vogliamo che per le società diventi un obbligo legale adottare la due diligence ambientale e in materia di diritti umani e auspichiamo l’elaborazione di una tassonomia sociale più solida per consentire il movimento dei capitali verso attività socialmente sostenibili”, spiega Wihlborn. “Senza processi efficaci non è possibile realizzare una transizione giusta. Le violazioni dei diritti umani imperversano nelle filiere delle aziende del settore delle energie rinnovabili.”
Ad esempio, Wihlborn cita un recente studio secondo il quale fino al 40% delle fattorie solari del Regno Unito è stato costruito utilizzando pannelli forniti da aziende cinesi implicate nel lavoro forzato di uiguri e di altri gruppi etnici per lo più musulmani nella provincia dello Xinjiang.26
Un approccio olistico
Le iniziative in fase di elaborazione potrebbero promuovere una maggiore trasparenza. La World Benchmarking Alliance sta sviluppando un benchmark dedicato per la transizione giusta che fornirà una classifica delle società in base agli indicatori sociali (è previsto un rapporto iniziale su 180 aziende alla COP26, mentre il benchmark completo dovrebbe essere pronto per il 2023).27 Le società vengono anche incoraggiate a conformarsi alla Task Force for Climate-related Financial Disclosures (TCFD) per generare rapporti completi sull’impatto sociale delle loro operazioni. Questo rappresenterebbe una “evoluzione naturale” per la piattaforma, sostiene Wihlborn.
Dati migliori sulla portata sociale e ambientale delle attività delle società potrebbero mettere in evidenza le opportunità disponibili. Julie Zhuang, Global Equities Portfolio Manager di Aviva Investors, cita le aziende che aiutano i paesi ad adattarsi alla crescente carenza idrica. Ad esempio, il suo portafoglio ha una partecipazione in un’azienda che utilizza il GPS e le tecnologie sensoriali per aiutare gli agricoltori a massimizzare la resa dei raccolti, garantendo al contempo una distribuzione più accurata delle risorse e riducendo al minimo gli sprechi d’acqua. Uno degli altri investimenti è in un’azienda che fornisce sistemi di controllo idrico e di raccolta dell’acqua piovana per contribuire a conservare le risorse idriche e consentire il filtraggio dell’acqua potabile sicura nelle aree isolate colpite da catastrofi.
Ha senso investire in società che aiutano il mondo ad adattarsi alle conseguenze del riscaldamento globale
“Ha senso investire in società che aiutano il mondo ad adattarsi alle conseguenze del riscaldamento globale, in particolare la siccità e la carenza idrica. Questo problema non farà altro che peggiorare”, afferma Zhuang.
A volte, per gli investitori potrebbe aver senso contribuire a progetti che non sarebbero accettati se visti in un’ottica puramente ambientale, ma potrebbero essere giustificabili per ragioni socioeconomiche. I progetti nel settore immobiliare, ad esempio, spesso comportano un mix di risultati positivi e negativi, rendendo necessario un approccio caso per caso in cui gli investitori devono mettersi in contatto con una serie di parti interessate per valutare eventuali compromessi tra i fattori “E”, “S” e “G”. È grazie a un tale processo di due diligence che nel 2018 Aviva Investors ha concesso un prestito a una grande società statale della Costa d’Avorio, i cui proventi sono stati destinati al finanziamento di miglioramenti a una raffineria di petrolio esistente.
L’operazione ha ridotto la dipendenza del paese dalle importazioni di energia, ha migliorato l’efficienza dell’impianto esistente e prodotto benefici per l’economia locale. Sebbene si sia trattato di un progetto ad alta intensità di carbonio, si è comunque allineato bene con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.
Il quadro generale
Man mano che la transizione giusta acquisisce slancio, gli attuali compromessi sociali e ambientali potrebbero svanire. Ma questo sarà possibile solo con il coinvolgimento delle giovani generazioni, ossia i politici, gli scienziati e gli imprenditori del futuro.
Dopotutto, la questione della giustizia è doppiamente rilevante per i giovani che crescono nelle regioni colpite da una crisi nella quale non hanno svolto alcun ruolo. Penalizzati da un sistema capitalista che è stato costruito da e per altri, testimoni di incendi, alluvioni e siccità che stanno devastando le loro comunità, molti giovani sono comprensibilmente affetti da ansia climatica.28 Tuttavia, stanno progressivamente incanalano il loro senso di ingiustizia verso azioni positive.
Gli incentivi politici riusciranno a concludere ben poco se ricadranno su cittadini insensibili e incerti
“Gli incentivi politici, a prescindere dalla loro tempestività, riusciranno a concludere ben poco se ricadranno su cittadini insensibili e incerti”, afferma Munang, che plaude la logica caratterizzata da “disciplina, perseverante passione, lungimiranza innata e altruismo” dei giovani africani.
Questo include persone come Vanessa Nakate, che si sta occupando di importanti progetti legati al clima in Uganda e in altri paesi attraverso il suo movimento di base Rise Up Movement, come Elizabeth Wathuti, attivista per il clima keniota la cui Green Generation Initiative elabora soluzioni basate sulla natura come il rimboschimento e i programmi di conservazione, e come Oladosu Adenike, ambasciatrice nigeriana per l’African Youth Climate Hub.29
Il loro lavoro sta ispirando milioni di altre persone in tutto il sud del mondo ad affrontare le crisi gemelle del crollo ambientale e dell’ingiustizia sociale. Se vogliamo affrontare adeguatamente il cambiamento climatico, non possiamo più ritagliarli dalla foto.