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Determinazione del prezzo del carbonio

Tassare chi inquina è l’unica strada da percorrere

Quasi trent’anni dopo il primo accordo sulla lotta al cambiamento climatico, il mondo ha miseramente fallito nel tentativo di frenare la crescita delle emissioni di CO2. Per avere successo, ha urgente bisogno di stabilire un prezzo efficace per il carbonio.

Tra il 1820 e il 1830, il matematico francese Joseph Fourier calcolò che un oggetto della dimensione della Terra, e alla sua stessa distanza dal Sole, dovrebbe essere considerevolmente più freddo del pianeta se riscaldato solo dagli effetti della radiazione solare ricevuta. La sua teoria che l’atmosfera della Terra possa fungere da isolante è generalmente riconosciuta come la prima ipotesi di ciò che sarebbe stato poi conosciuto come effetto serra.

È stato tuttavia necessario più di un secolo per comprendere meglio i rischi derivanti dalla combustione dei combustibili fossili. Edward Teller, un fisico teorico ungherese-americano, talvolta definito “il padre della bomba a idrogeno”, fu tra i primi a lanciare l’allarme. In un discorso pronunciato in occasione del suo ingresso nell’American Chemical Society nel dicembre 1957, Teller mise in guardia sul fatto che la grande quantità di combustibile bruciato sin dalla metà del XIX secolo stava aumentando la concentrazione di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera e avrebbe “agito allo stesso modo di una serra innalzando la temperatura in superficie”.

Nel 1992, alla luce dell’evidenza dei crescenti rischi posti dal cambiamento climatico causato dall’uomo, 154 paesi hanno deciso di iniziare ad affrontare il problema. I firmatari della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) a Rio de Janeiro si sono impegnati a ridurre le concentrazioni atmosferiche di gas serra con l’obiettivo di “prevenire pericolose interferenze antropogeniche con il sistema climatico terrestre”. Quasi trent’anni e innumerevoli conferenze internazionali dopo, gli sforzi volti a contenere le emissioni climatiche hanno fallito miseramente.

Figura 1: Annual total CO2 emissions, by world region (billion tonnes)1
Emissioni totali annue di CO₂, per regione mondiale
Nota: Questo dato indica le emissioni di CO₂ provenienti solo dai combustibili fossili e dalla produzione di cemento – non è inclusa la variazione d'uso del suolo.
Fonte: Our World in Data, basato sul Global Carbon Project, dati ad agosto 2020

Un problema che riguarda il bene comune

Cinque anni dopo Rio, il primo trattato internazionale mirato a ridurre le emissioni è stato sottoscritto tra scene di giubilo. Il Protocollo di Kyoto, in cui diversi paesi sviluppati hanno concordato passi concreti per limitare le emissioni, è stato acclamato come un nuovo passo avanti del mondo verso basse emissioni di carbonio.

Il Protocollo di Kyoto non ha mai avuto probabilità di successo

Tuttavia, anche se il protocollo è entrato in vigore nel febbraio 2005, non è mai effettivamente decollato. Quattro anni prima gli Stati Uniti si erano sostanzialmente ritirati, non avendo mai raggiunto la ratifica formale del trattato: la Risoluzione Byrd-Hagel, che di fatto lo rifiutava, fu infatti approvata nel 1997 con 95 voti favorevoli e 0 contrari. Kyoto sparì dalla circolazione il 31 dicembre 2012, quando anche il Canada, il Giappone, la Nuova Zelanda e la Russia si ritirarono.

Nonostante l’acclamazione che l’accordo aveva ricevuto, il suo successo è sempre stato considerato improbabile. Per capire perché, bisogna comprendere la natura del problema che le autorità politiche stanno cercando di affrontare.

Il cambiamento climatico è un problema che riguarda il “bene comune”. L’atmosfera è condivisa tra i vari paesi e una nazione che intende abbattere le emissioni di CO2 si fa carico del costo totale della propria riduzione, ricevendo tuttavia in cambio solo una piccola parte dei benefici, la maggior parte dei quali sono inoltre a vantaggio delle generazioni future, alcune lontane nel tempo. Come per qualsiasi bene comune di questo tipo, la risposta egocentrica è quella di procedere egoisticamente nella speranza che altri possano pagare il conto. Questo vale soprattutto in un’economia globalizzata in cui i costi energetici incidono sulla competitività e c’è il rischio sempre presente di “rilocalizzazione delle emissioni di carbonio”.

La tassazione o l’imposizione di limiti alle emissioni devono essere negoziate tra le nazioni sovrane

Anche all’interno delle varie nazioni, risolvere i problemi per il bene comune come la congestione stradale o la fornitura di binari ferroviari può essere problematico, soprattutto per i sistemi di governo federati. Ma la natura globale del problema lo rende molto più difficile da gestire, poiché non esiste un governo che impedisca l’egoismo (o “free ride”). I modi per affrontare il problema tassando o imponendo limiti alle emissioni devono essere invece negoziati tra le nazioni sovrane.

“Cap and trade” globale

I negoziati di Kyoto hanno cercato di creare un sistema globale “cap-and-trade”, in base al quale è stato fissato un tetto massimo alle emissioni a livello globale; successivamente i singoli paesi si sarebbero impegnati a ridurre le emissioni al di sotto dei livelli del 1990 in misura variabile per soddisfare tale limite. Il protocollo ha assegnato permessi di emissione internazionali, le “AAU” (“Assigned Amount Units”, Unità di quantità assegnate), e ha istituito un sistema per la loro negoziazione. Il risultato è stato un mosaico di impegni deboli e inattuabili che non è riuscito ad affrontare il problema dei paesi “free rider”.

Kyoto ha prodotto un mosaico di impegni deboli e inattuabili che non sono riusciti ad affrontare il problema dei “free rider”

Il mercato delle AAU si è dimostrato così illiquido e reticente da non aver creato alcun prezzo di mercato efficace e solo poche transazioni hanno ricevuto un prezzo conosciuto; nel frattempo, non è stata definita alcuna politica per la determinazione del prezzo del carbonio. L’aspetto in cui Kyoto ha fatto la differenza è stato attraverso le politiche di comando e controllo, quali sovvenzioni e requisiti per l’energia pulita come l’energia eolica e solare, nonché miglioramenti in termini di efficienza energetica.

Da allora le nazioni si sono imbattute in una serie di vertici e conferenze per cercare di sostituire Kyoto, ma senza successo. Anche se la Conferenza delle Nazioni Unite delle Parti (COP21) riunitasi a Parigi è stata accompagnata dalle consuete dichiarazioni di vittoria – il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon l’ha definita “un trionfo epocale per le popolazioni e per il nostro pianeta”2 – l’accordo è stato visto da alcuni come un passo indietro rispetto a Kyoto.

Non vi sono più stati dibattiti seri relativi a un impegno comune per ridurre la quantità di emissioni di carbonio negoziando un tetto massimo globale. I paesi si sono semplicemente accordati su “contributi determinati a livello nazionale” (INDC) non vincolanti, non applicabili e non comparabili.

Nell’ambito di un cosiddetto approccio “pledge-and-review” (impegno e riesame) adottato a Parigi, gli INDC saranno registrati senza alcun coordinamento dei metodi o dei parametri di misurazione degli obiettivi di queste azioni. Non è stata definita alcuna informativa o verifica in relazione agli impegni, pur essendo queste essenziali per la credibilità del sistema. Non è stato dunque compiuto alcuno sforzo serio per affrontare il problema dei “free rider”. Anche se si confida in piani sempre più ambiziosi nel tempo, la storia insegna che questa potrebbe essere una pia illusione.

Come non negoziare

Secondo Stephen Stoft, uno dei curatori del libro “Global Carbon Pricing” del 2017, il fallimento delle successive negoziazioni è eloquente. Per capire dove le cose sono andate male, Stoft ritiene istruttiva la teoria dei giochi, in particolare il lavoro della politologa Elinor Ostrom, insignita del Premio Nobel per l’economia per la sua ricerca innovativa e controcorrente, secondo cui l’utilizzo eccessivo di risorse comuni (“common-pool resource”) non è inevitabile, né soggetto a una “Tragedia dei beni comuni”, come suggerito dall’ecologista Garrett Hardin nel 1968. Basandosi sia sulla scienza della teoria dei giochi che sugli esempi del mondo reale, Ostrom ha dimostrato che la cooperazione potrebbe essere mantenuta grazie all’interazione tra reciprocità, reputazione e fiducia.

Il lavoro di Ostrom suggerisce che Kyoto e Parigi sono stati segnati negativamente fin dall’inizio

Secondo Stoft, che è stato consulente della Banca Mondiale, del Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti e della divisione dedicata al Cambiamento Climatico del Dipartimento per& l’energia del Regno Unito, dal lavoro di Ostrom si deduce che il modo in cui i negoziatori hanno cercato di risolvere il problema a Kyoto e Parigi abbia segnato negativamente i negoziati sin dall’inizio.

L’incapacità di Kyoto di raggiungere un accordo sulla riduzione delle emissioni si spiega in parte con le complessità coinvolte nel raggiungimento di un accordo “cap-and-trade” a livello globale tra molteplici paesi, ciascuno spinto a negoziare un tetto elevato per se stesso e a eliminare il “free ride” per gli altri. A Kyoto, ad esempio, i negoziatori hanno proposto senza successo almeno dieci formule per stabilire impegni individuali. Alla fine, tuttavia, ai paesi è stato semplicemente chiesto di fornire i loro numeri finali da inserire nella bozza.

Per quanto riguarda l’approccio “pledge and review”, non solo non prevedeva nulla che impedisse ai paesi di fissare obiettivi non ambiziosi, ma neanche alcuna sanzione concordata per il loro mancato raggiungimento.

È il momento di cambiare

Secondo Stoft, Ostrom e altri dimostrano che per promuovere la cooperazione, un obiettivo collettivo deve tradursi in un accordo reciproco, che preveda il rispetto di regole che definiscono comportamenti ambiziosi, purché tutti gli altri rispettino le stesse regole. Inoltre, per disciplinare i “free rider” sono necessarie sanzioni in caso di violazione delle regole.  

Il successo richiede un impegno comune, non un mosaico di azioni individuali

“Il successo richiede un impegno comune, non un mosaico di azioni individuali. Dopo 20 anni in cui si è finto di fare ciò che è giusto per il clima e durante i quali non si è fatto quasi nulla, è tempo di un cambiamento di direzione”, afferma.

Il professore di Yale William Nordhaus sostiene che l’unica lezione da imparare dall’economia è che “i partecipanti economici – migliaia di governi, milioni di aziende, miliardi di persone, che prendono tutti milioni di miliardi di decisioni ogni anno – devono stabilire un prezzo di mercato del carbonio che rifletta i costi sociali dei loro consumi, investimenti e innovazioni”.

Se da un lato Stoft concorda che un prezzo uniforme sarebbe economicamente efficiente, dall’altro dubita che la definizione di un prezzo del carbonio minimo globale come punto di partenza darebbe alle negoziazioni una possibilità molto superiore di successo. Fornendo un punto focale importante per le discussioni, i colloqui sarebbero probabilmente molto più semplici di quelli intervenuti nell’ambito di un accordo “cap-and-trade” globale. È stato Thomas Schelling, un altro economista americano a cui è stato assegnato il Premio Nobel per la sua ricerca sulla teoria dei giochi, a sostenere che la cooperazione può essere rafforzata quando le azioni dei partecipanti convergono su un punto focale.

L’idea di cercare di fissare un prezzo globale del carbonio sembra acquisire sempre più importanza al di là del mondo accademico. Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, l’organismo ONU per la valutazione di dati scientifici relativi al cambiamento climatico, raccomanda un “prezzo del carbonio globale unico” sufficientemente alto da creare gli incentivi necessari per limitare il riscaldamento globale a circa 2 C° al di sopra dei livelli pre-industriali.

Nel maggio 2019 oltre 75 società, tra cui eBay, Nike, Mars, Microsoft e PepsiCo, hanno chiesto al Congresso di approvare una legislazione significativa sul clima. In cima alla loro agenda vi era l’imposizione di un prezzo sul carbonio.3 Nel novembre 2020, alcune aziende britanniche hanno invitato il proprio governo a fare altrettanto.4 La richiesta di azione da del mondo delle imprese è stata ripresa da diversi organismi internazionali come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha chiesto “molti più progressi in termini di determinazione del prezzo del carbonio”.5

Anche le principali autorità politiche stanno iniziando a partecipare a questa spinta. A gennaio, il Segretario del Tesoro americano Janet Yellen ha dichiarato che la crisi climatica non può essere risolta “senza un’efficace determinazione del prezzo del carbonio”. Yellen, che Stoft descrive come la “persona migliore per portare avanti la questione”, ha inoltre affermato che il presidente americano Joe Biden ha sostenuto un “meccanismo di attuazione che richiede a chi inquina di farsi carico dell’intero costo dell’inquinamento da carbonio che produce".6 Pochi giorni dopo, il governatore della Banca Centrale Europea Christine Lagarde ha parlato della necessità di un prezzo del carbonio efficace, se “si vogliono raggiungere gli obiettivi dell’UE per la riduzione delle emissioni”.7

Aggirare la questione

I crescenti inviti a intervenire rendono difficile comprendere perché le successive conferenze ONU sul cambiamento climatico hanno tendenzialmente aggirato la questione.

Stiamo esaurendo il tempo a disposizione e abbiamo urgente bisogno di un piano di azione concreto

“Ripartiamo da Rio, dove si è parlato di internalizzare l’esternalità. Ma non è successo. Stiamo esaurendo il tempo a disposizione e abbiamo urgente bisogno di un piano di azione concreto”, afferma Tom Tayler, senior manager del Sustainable Finance Center for Excellence di Aviva Investors.

Anche se l’Accordo di Parigi ravvisava la necessità di un mercato globale del carbonio, ma i negoziatori hanno sostanzialmente procrastinato la questione. L'articolo 6 è fondamentale per l'integrità dell'accordo e i negoziatori hanno avvertito che norme deboli potrebbero minare l'intero accordo. Tuttavia, pochi di essi sembrano avere un’idea su come far funzionare le norme che disciplinano questo meccanismo. Molti dubitano che ci riusciranno mai.

L'articolo 6 è di sole due pagine. Forse nel tentativo consapevole di rendere tutto poco chiaro, la formulazione è complessa; omette infatti di descrivere, se non nei termini più vaghi, come funzionerà il sistema e quali regole garantiranno che esso porti a tagli reali delle emissioni.

Malgrado alcuni sostengano che completare l’articolo potrebbe decidere le sorti della COP26, sia Tayler che Steve Waygood, capo responsabile degli investimenti di Aviva Investors, ritengono che tali aspettative non siano realistiche.

In passato, un’intensa attività di lobbying da parte dell’industria dei combustibili fossili ha ostacolato il raggiungimento di un accordo sul prezzo del carbonio in occasione dei summit delle Nazioni Unite; ad esempio, la COP25 di Madrid è stata criticata perché sponsorizzata da alcune delle aziende spagnole che inquinano di più. Tuttavia, il principale ostacolo è che per raggiungere un accordo è necessaria l'unanimità, o quasi l'unanimità.

“Incolpare l’UNFCCC per non avere individuato un prezzo globale del carbonio è ingiusto. Non è un forum appropriato", afferma Waygood.

È facile concludere che la cooperazione internazionale sia destinata al fallimento. Ma è una conclusione sbagliata

Nordhaus, soprannominato il padre dell’economia del cambiamento climatico e vincitore nel 2018 del Premio Nobel per il suo lavoro rivoluzionario che modella l’interazione tra cambiamento climatico ed economia, afferma che il requisito dell’unanimità è in realtà “una ricetta per non agire”, in particolare laddove vi siano forti asimmetrie tra costi e benefici.

“Alla luce del fallimento del Protocollo di Kyoto, è facile concludere che la cooperazione internazionale sia destinata al fallimento. Ma è una conclusione sbagliata", sostiene.

Unisciti al club

Nell’aprile del 2021, il direttore del FMI Kristalina Georgieva ha dichiarato che “concentrarsi su un prezzo minimo del carbonio tra grandi emittenti, come il G20, potrebbe facilitare un accordo che copra fino all’80% delle emissioni globali”.8

Sembrerebbe aver preso spunto da Nordhaus, che nel 2015 lanciò l’idea di istituire un “club climatico” come mezzo per uscire dalla situazione di stallo.

Se solo l’UE e la Cina concordassero di imporre un prezzo uniforme su tutte le proprie emissioni di carbonio, si potrebbe poi prevedere un’adesione degli Stati Uniti

Luca Taschini, ricercatore accademico associato presso il Grantham Research Institute della London School of Economics, concorda che tale iniziativa possa offrire la migliore prospettiva di progressi significativi. Se da un lato istituire un tale club non sarebbe semplice, anche se solo l’UE e la Cina potessero concordare l’imposizione di un prezzo uniforme su tutte le proprie emissioni di carbonio, “sarebbe un importante passo avanti; si potrebbe poi prevedere un’adesione degli Stati Uniti”.

Waygood afferma che è incoraggiante che Stati Uniti e Cina siano stati in grado di mettere da parte le difficoltà nelle loro relazioni bilaterali ad aprile e di impegnarsi a collaborare tra loro e con altri paesi per affrontare con urgenza la crisi climatica.9

Fissando i prezzi del carbonio, i governi tengono conto dei costi che il pubblico paga in altri modi, come i costi sanitari derivanti da inquinamento, ondate di calore e siccità, nonché i danni alle proprietà derivanti da incendi, inondazioni e aumento del livello del mare. Un prezzo per il carbonio offrirebbe a chi inquina – imprese e consumatori – una scelta: interrompere la propria attività, gravitare verso tecnologie più ecologiche, o continuare a inquinare e pagare di conseguenza. Consentirebbe inoltre ai mercati dei capitali di confrontare con maggiore precisione il vero costo del capitale delle imprese.

Stabilire quale debba essere il prezzo del carbonio non è semplice. Dal punto di vista dell’efficienza economica, il prezzo dovrebbe corrispondere al costo sociale del carbonio (CSC), il danno marginale causato da una tonnellata supplementare di emissioni. Purtroppo, le stime del CSC – a rigor di termini, il costo sociale della CO2, non semplicemente del carbonio – sono altamente incerte. Dipendono da una moltitudine di ipotesi sulle future emissioni, su come il clima risponderà, sugli impatti che ciò causerà e, in modo determinante, sul tasso di sconto applicato ai danni, alcuni dei quali saranno avvertiti in un lontano futuro.

Le stime del costo sociale del carbonio variano da paese a paese, poiché dipendono in parte da considerazioni nazionali

Inoltre le stime del CSC variano da paese a paese, in quanto dipendono in parte da considerazioni nazionali. Ad esempio, si calcola che siano piuttosto elevate in Cina, dove la riduzione dell’inquinamento atmosferico in un paese densamente popolato comporta vantaggi a livello nazionale. Sono invece più basse in Australia, dove vi è una scarsa densità demografica e le centrali elettriche si trovano vicino alla costa, pertanto le emissioni si disperdono “in modo innocuo” negli oceani. A febbraio il governo statunitense ha stimato che per gli Stati Uniti tali stime si aggirano intorno ai 51 dollari per tonnellata.10

Secondo il FMI, entro il 2030 è necessario un prezzo globale del carbonio di 75 dollari o più elevato per tonnellata per limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C;11 la Banca d’Inghilterra calcola che potrebbe essere necessario un prezzo di 150 sterline,12 mentre l’Agenzia internazionale per l’Energia ha affermato che a maggio il prezzo nelle economie avanzate è dovuto salire a 130 dollari entro il 2030 e a 250 dollari entro il 2050.13

Il prezzo è appropriato?

Secondo Waygood, anche se il prezzo ottimale del carbonio è ancora fonte di grande incertezza, non deve essere una scusa per tergiversare.

“Un modo per fare un passo avanti potrebbe essere quello di concordare un prezzo per le emissioni di carbonio pari ad almeno un livello minimo globale. Altri paesi saranno liberi di fissare un prezzo più alto”, afferma.

Ha ritenuto incoraggiante quando nel luglio 2021 i ministri delle finanze del G20 hanno approvato collettivamente la determinazione del prezzo del carbonio per la prima volta, descrivendo l’iniziativa, un tempo controversa, come un “ampio insieme di strumenti” per affrontare il cambiamento climatico.14

I paesi o i blocchi commerciali potrebbero avere un margine di manovra per stabilire come valutare le emissioni

Secondo Nordhaus, inoltre, persino un prezzo del carbonio a 35-40 dollari per tonnellata sarebbe “un inizio ragionevole”, anche se in seguito dovrebbe aumentare “dal tre al quattro per cento l’anno in termini reali”.

Teoricamente, i paesi o i blocchi commerciali potrebbero avere un margine di manovra per determinare come valutare le emissioni, ad esempio attraverso la tassazione, un sistema di “cap-and-trade” o una combinazione delle due soluzioni, anche se la maggior parte degli economisti tende a credere che la tassazione sarebbe il metodo più pulito, più facilmente comparabile e pertanto ottimale.

“La strategia più efficace per rallentare o prevenire il cambiamento climatico è quella di imporre una tassa universale e armonizzata a livello internazionale sul tenore di carbonio dei combustibili fossili”, afferma Nordhaus.

La formazione di un club non sarebbe priva di difficoltà. Ma sebbene sia necessario determinare a quale punto del processo di produzione debba essere stabilito il prezzo del carbonio, e malgrado i paesi debbano essere monitorati per verificare che non stiano truccando le carte, vi sono alcuni ostacoli insormontabili.

La questione più spinosa sarebbe la necessità per le nazioni più ricche di trasferire denaro a quelle più povere

Affinché il sistema funzioni, la questione più spinosa sarebbe la necessità per le nazioni più ricche di trasferire denaro a quelle più povere. In caso contrario, è probabile che molti non siano disposti a imporre un prezzo sul carbonio, temendo che possa ingiustamente frenare la crescita economica. Non solo non si ritengono la causa del problema, ma considerano lo sviluppo economico relativamente più importante dell’esigenza di mitigare il cambiamento climatico.

Tuttavia, anche se le discussioni sulla dimensione dei trasferimenti di denaro hanno minato il dibattito a Kyoto, ciò non significa che anche i tentativi più recenti siano destinati al fallimento. È anzi un argomento a favore della fissazione di un prezzo del carbonio iniziale realistico, soprattutto perché nulla impedirebbe alle nazioni più ricche di essere più ambiziose.

Carota e bastone

Taschini afferma che, oltre alla carota del trasferimento di denaro per indurre i paesi in via di sviluppo a fissare un prezzo minimo di carbonio e aderire al club, sarebbe necessario un bastone per disciplinare i “free rider” e prevenire la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio.

Le stime di una potenziale rilocalizzazione delle emissioni di carbonio variano fortemente. Secondo un’analisi di 25 studi, i paesi hanno rischiato di rinunciare al 5-25 per cento delle loro riduzioni totali delle emissioni a causa del trasferimento della produzione ad alta intensità di carbonio in altri paesi da parte delle aziende.15 Per evitare questo rischio, Taschini sostiene che il bastone ovvio da usare sarebbe quello di applicare dazi sulle importazioni da paesi che si sono rifiutati di aderire al club.

Questo spiega perché l’Unione Europea, a luglio, ha dichiarato di prevedere l’introduzione di una carbon tax alle frontiere entro il 2026. Considerando i prodotti di importazione come acciaio, alluminio, fertilizzanti e cemento responsabili delle loro emissioni allo stesso modo di quelli fabbricati a livello nazionale, l’obiettivo è quello di mantenere la competitività del blocco, prevenire la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio e infine incoraggiare altri paesi a unirsi all’ambizioso obiettivo dell’UE.

Alcuni scettici ritengono i piani dell’UE poco più di una forma di protezionismo ecologico, mentre i membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio hanno messo in dubbio la loro conformità alle regole esistenti dell’OMC. Tuttavia Taschini ritiene “assolutamente possibile” integrare le preoccupazioni ambientali in un modo che non violino il regolamento dell’OMC.

L’inviato di Biden per il clima, John Kerry, che a marzo aveva avvertito l’UE che un aggiustamento della carbon tax alla frontiera avrebbe dovuto essere “l’ultima risorsa”,16 a distanza di due mesi ha dichiarato che gli Stati Uniti stanno prendendo in considerazione la possibilità di copiarlo.17

Le aziende saranno costrette a gestire con maggiore urgenza le proprie emissioni di carbonio

Secondo il Boston Consulting Group, le dimensioni e l’importanza strategica del mercato dell’UE sono tali che una tassa alla frontiera “potrebbe trasformare i fondamentali del vantaggio globale”. In un rapporto pubblicato nel giugno 2020, ha dichiarato che le aziende di tutto il mondo saranno “costrette a gestire con maggiore urgenza le proprie impronte di carbonio”. Il grado di rilevanza dell’impatto sui settori industriali sarebbe in gran parte influenzato da due fattori: l’intensità del carbonio e l’intensità degli scambi commerciali.18

Una delle argomentazioni più frequenti contro la tassazione del carbonio è che è regressiva in quanto colpisce di più i membri più poveri e più colpiti della società. Tuttavia, essendo le tasse riscosse e trattenute a livello nazionale, non vi è nulla che impedisca ai paesi di ridistribuire progressivamente tali entrate fiscali.

I sistemi di fissazione del prezzo del carbonio sono in crescita sia in termini di numero che di obiettivi. Secondo la Banca Mondiale, ad aprile 2021 erano in atto 64 iniziative: 29 sistemi di scambio delle quote di emissione e 35 imposte sul carbonio.19 Tuttavia, tali misure hanno coperto solo il 22% delle emissioni globali.

Figura 2: Share of global emissions covered by global pricing initiatives (ETS and carbon tax) (per cent)20
Quota di emissioni globali coperta da iniziative globali in materia di determinazione del prezzo
Nota: La copertura delle emissioni di gas serra per ciascuna giurisdizione si basa su fonti ufficiali e/o stime governative.  Le informazioni sull’ETS nazionale cinese rappresentano stime provvisorie non ufficiali basate sull’annuncio della Commissione nazionale cinese per lo sviluppo e le riforme del lancio dell’ETS nazionale del dicembre 2017.
Fonte: La Banca Mondiale, 1 aprile 2021

Ma c’è di peggio: l’entità del prelievo sulle emissioni tassate è miseramente inadeguata. Secondo l’ufficio statistico tedesco, le  emissioni  globali di CO2hanno raggiunto un record di 38 miliardi di tonnellate nel 2019, con gli stati del G20 responsabili di circa l’80 per cento, ovvero 30,4 miliardi di tonnellate.21

Anche se l’Institute for Climate Economics stima che tra il 2016 e il 2019 le entrate derivanti dal carbonio raccolte dai paesi del G20 siano quasi triplicate, passando da 16,9 miliardi di dollari a 47,8 miliardi di dollari,22 questo implica un’aliquota media di tassazione delle emissioni di CO2 di poco più di 1,5 dollari per tonnellata nel 2019. Se da un lato il FMI avvicina il prezzo mondiale a 3 dollari per tonnellata23, dall’altro si tratta comunque solo di una piccola frazione di ciò che è generalmente ritenuto necessario e poco più del sei per cento di ciò che il governo statunitense stima essere il CSC.

Figura 3: Carbon pricing revenues in G20 countries (US$mn)
Ricavi derivanti dalla determinazione dei prezzi del carbonio nei paesi del G20
Nota: RGGI = Regional Greenhouse Gas Initiative (Iniziativa Regionale sui Gas Serra) (Connecticut, Delaware, Maine, Maryland, Massachusetts, New Hampshire, New Jersey, New York, Rhode Island e Vermont).
Fonte: Institute for Climate Economics

Quanto tassare

Una delle ragioni per cui il mondo lotta per ribellarsi alla dipendenza dai combustibili fossili è il costo percepito di una tale assuefazione. Sebbene molti attivisti e politici promuovano politiche di mitigazione del clima come un’opportunità per creare posti di lavoro e stimolare la crescita, l’argomento appare pretestuoso. Il fatto che così pochi paesi si avvicinino soltanto a fare la loro giusta parte la dice lunga. Dopo tutto, la combustione del carbonio consente di svolgere attività importanti, come guidare le automobili, riscaldare le case e produrre acciaio. Tassare il carbonio, fino a quando non saranno disponibili alternative più verdi, porta inevitabilmente a una riduzione del benessere dei consumatori man mano che tali attività vengono ridotte.

Stabilire un prezzo efficace del carbonio difficilmente sarà così disastroso come alcuni temono

Ciò premesso, stabilire un prezzo efficace del carbonio difficilmente sarà così disastroso come alcuni temono. Prendiamo un prezzo del carbonio di 40 dollari: farebbe salire di circa 74 dollari, intorno al 12 per cento, il prezzo di una tonnellata di acciaio, di 72 dollari il costo di un volo di ritorno tra Londra e New York e sarebbe equivalente a soli 9,2 centesimi (6,6 pence britannici) in più su un litro di benzina.

Imposto in tutto il mondo, un prezzo del carbonio di 40 dollari aumenterebbe il gettito fiscale di circa 1.500 milioni di dollari, ovvero circa l’1,7 per cento del PIL globale. Tuttavia alcuni ritengono che ciò si tradurrebbe in un corrispondente calo dei consumi e degli investimenti, ignorando tuttavia il fatto che le stesse entrate fiscali sarebbero riciclate.

La perdita di efficienza che potrebbe derivare dalla tassazione del carbonio sarebbe una piccola frazione. È inoltre molto probabile che diminuirebbe ulteriormente e rapidamente con lo sviluppo di nuove tecnologie che facilitino il passaggio dalla combustione del carbonio. Bank of America suggerisce infatti che affrontare il cambiamento climatico offre un’enorme opportunità per anticipare i concorrenti nello sviluppo delle tecnologie pulite del futuro.24 I costi devono poi essere giudicati in base alle conseguenze di lungo termine dell'inazione.

Per il momento, il mondo sembra avere il peggio di entrambi i punti di vista. Non solo vengono adottate misure di portata molto inferiore a quella necessaria per affrontare in modo significativo il riscaldamento globale, ma i governi stanno creando enormi inefficienze economiche non riuscendo a coordinare le azioni. Prendiamo ad esempio l’enorme disparità tra le tasse applicate ai combustibili. Mentre nel Regno Unito, in Germania e in Francia i prelievi per il gasolio sono rispettivamente del 59, 58 e 43 per cento, gli Stati Uniti tassano solo il 12 per cento e la Cina non li tassa affatto.25

Figura 4: Filling the (80-litre) tank of a Ford Transit with diesel – proportion of cost made up of fuel cost and tax26
Riempimento del serbatoio (da 80 litri) di un Ford Transit con diesel – proporzione del costo costituita da costo del carburante e tasse
Fonte: UHY, 2014

Il persistente fallimento del mondo nel fissare il prezzo del carbonio ha determinato un calderone di politiche di comando e controllo, ossia misure che vanno dall’imposizione di norme sulle emissioni automobilistiche o dall’eliminazione graduale e completa delle vendite di automobili con motore a combustione interna, fino alla sovvenzione di varie tecnologie verdi. In molti casi tali provvedimenti hanno costi elevati e sono di dubbio beneficio.

Il persistente fallimento del mondo nel fissare il prezzo del carbonio ha determinato un calderone di politiche di comando e controllo

Uno degli esempi più lampanti è la legislazione tedesca “Energiewende”. Nel 2010 il paese si è posto l’ambizioso obiettivo del 60% di energie rinnovabili entro il 2050. Il programma è tuttavia generalmente considerato come un disastro assoluto.

A seguito dell'incidente nucleare di Fukushima del 2011, la Germania ha deciso di chiudere le proprie centrali nucleari. Non essendo in grado di produrre energie rinnovabili abbastanza velocemente, il paese è passato alla lignite, una forma particolarmente “sporca” di carbone. Di conseguenza, le emissioni di CO2 non sono affatto diminuite: nel 2000, il paese ha ottenuto quasi l’84% della sua energia primaria totale da combustibili fossili, una percentuale scesa a circa il 78% nel 2019. A questo ritmo, i combustibili fossili forniranno ancora quasi il 70% dell’approvvigionamento energetico primario del paese nel 2050. Nel frattempo, il costo medio dell’elettricità per le famiglie tedesche è raddoppiato dal 2000. Entro il 2019 dovevano pagare 34 centesimi di dollaro per chilowattora, rispetto ai 22 centesimi in Francia e ai 13 centesimi negli Stati Uniti.27

Potere di determinazione dei prezzi

In molti casi, con politici non disposti a prendere il toro per le corna, il problema viene esternalizzato al settore privato. Pur non negando che il settore privato abbia un ruolo fondamentale da svolgere, ad esempio rifiutando di finanziare un progetto legato al carbone o richiedendo rendimenti più elevati dagli investimenti in società di esplorazione petrolifera, Waygood afferma che per svolgere questa funzione in modo efficiente è necessario un prezzo del carbonio.

Nel 1920, l’economista britannico Arthur Pigou delineò i vantaggi dell’utilizzo di “ricompense e tasse” per affrontare il problema delle esternalità, una problematica identificata per la prima volta dal suo tutor Alfred Marshall. Utilizzando i prezzi per correggere le carenze del mercato, una simile soluzione sarebbe stata preferibile a una regolamentazione che rischiava di strangolare le persone con la burocrazia.

Nessuno suggerirebbe di smettere immediatamente di guidare, volare o utilizzare l’acciaio, ma prima ammettiamo che queste attività hanno un costo, meglio è

Come dice Waygood: “Il più grande fallimento del mercato mondiale si è verificato nel cambiamento climatico e questa situazione continuerà fino a quando non cominceremo a prezzare in modo più appropriato almeno una parte significativa delle emissioni di carbonio a livello mondiale. Nessuno suggerirebbe di smettere immediatamente di guidare, volare o utilizzare l’acciaio, ma prima ammettiamo che queste attività hanno un costo, meglio è.”

Sebbene Stoft sia pessimista sulle prospettive di cambiamento nell’immediato futuro, continua a sperare che un maggiore interesse e accettazione della fissazione del prezzo del carbonio a livello nazionale “possa portare naturalmente alla fissazione del prezzo del carbonio a livello globale entro i prossimi cinque anni, quando l’opinione pubblica sarà assolutamente favorevole”.

Nell’ambito della comunità scientifica alcuni considerano Edward Teller una sorta di criminale, in parte a causa del suo esplicito sostegno allo sviluppo di una bomba a idrogeno da parte degli Stati Uniti. Ma sottolineando i pericoli della combustione del carbonio, ha lanciato un segnale di allarme al mondo in merito a una minaccia ancora più grave. Merita dunque di essere messo sotto una luce più favorevole. Per quanto riguarda Pigou, neanche il suo lavoro è privo critiche, ma sembra offrire al mondo un modo ovvio di affrontare il problema che Teller ha contribuito a identificare.

Investire in previsione di un aumento dei prezzi del carbonio

Il mondo finora non è riuscito a imporre un prezzo sul carbonio sufficientemente alto da limitare il consumo di combustibili fossili, tuttavia gli investitori farebbero bene a non scommettere sul persistere all’infinito di questa situazione.

Nel maggio 2019, oltre 75 aziende, tra cui BP, eBay, Nike, Mars, Microsoft, Nestlé, PepsiCo, Shell, Tesla e Unilever, hanno incontrato i legislatori statunitensi per chiedere al Congresso di approvare una legislazione significativa sul clima. In cime alla loro agenda vi era l’imposizione di un prezzo sul carbonio.28 Alcune autorità influenti, tra cui Janet Yellen, Christine Lagarde e Ursula von der Leyen, si sono unite alla richiesta d’azione.

La spinta sempre più insistente del mondo verso una valutazione del carbonio più vicina al suo effettivo costo sociale implica che gli investitori dovrebbero cercare di incorporare il rialzo dei prezzi del carbonio nelle loro valutazioni dei titoli emessi da un’ampia varietà di società, non solo da produttori di combustibili fossili e fornitori di energia.

“Nonostante un prezzo del carbonio efficiente sia ancora piuttosto lontano, la direzione di marcia è chiara. Le società che gestiscono meglio i rischi della transizione climatica – ad esempio riducendo al minimo le potenziali esternalità, come l’impatto dell’imposizione di un prezzo del carbonio sulle loro operazioni e quindi sui loro utili – dovrebbero generare performance superiori a lungo termine”, afferma Julie Zhuang, Global Equities Portfolio Manager di Aviva Investors.

Questo aiuta a spiegare le sue “opinioni piuttosto negative” sulle società di produzione di acciaio e fertilizzanti. Zhuang ritiene che molte aziende che operano in settori ad alta emissione come questi si trovino ad affrontare anni di notevole aumento della spesa in conto capitale nelle tecnologie a bassa emissione, e potrebbero registrare un calo dei rendimenti se vogliono evitare di essere rese non competitive da normative più severe e/o prezzi del carbonio più elevati.

Allo stesso modo, Justine Vroman, investment grade credit portfolio manager di Aviva Investors, sostiene che sebbene l’introduzione di un prezzo del carbonio esplicito e significativo possa essere ancora lontana, gli investitori creditizi devono prendere atto che la questione minaccia di alterare radicalmente il panorama degli investimenti.

“Con l’introduzione del Sistema di scambio delle emissioni dell'UE, molte aziende di servizi pubblici europee sono diventate pioniere in termini di investimenti nelle energie rinnovabili e nelle reti intelligenti e di smantellamento degli impianti a carbone termico. Nel frattempo, i loro omologhi statunitensi hanno ancora una lunga strada da percorrere per decarbonizzare. Di conseguenza, il costo del debito di alcuni servizi pubblici statunitensi potrebbe non riflettere pienamente l’importo della spesa in conto capitale necessaria”, afferma.

In assenza di un’azione più efficace da parte dei governi, spesso è lasciato alle aziende il compito di introdurre una qualche forma di meccanismo interno per la determinazione dei prezzi del carbonio, allo scopo sia di contribuire a stabilire i progetti in cui investire, sia di ridurre le emissioni di carbonio all’interno delle proprie catene di fornitura.

Secondo un rapporto del maggio 2020 di CDP – un ente di beneficenza senza scopo di lucro che gestisce il sistema di informativa globale per investitori, aziende, città, stati e regioni – di oltre 5.900 società in tutto il mondo che hanno divulgato informazioni, 853 hanno dichiarato di utilizzare già un prezzo interno del carbonio, il che costituisce un aumento del 43 per cento in due anni. Altre 1.159 hanno affermato che prevedono di farlo entro due anni.29

Secondo Vroman, la strategia creditizia incentrata sulla transizione climatica che cogestisce utilizza queste informazioni per identificare i leader e i ritardatari della transizione verso un'economia a basso tenore di carbonio.

“Le società che utilizzano un prezzo interno del carbonio hanno maggiori probabilità di adottare misure per incorporare il rischio climatico nella propria strategia aziendale e di impegnarsi a fissare obiettivi basati sulla scienza”, afferma, aggiungendo che l’adozione di questi obiettivi è un modo efficace di guidare il cambiamento, poiché esercita pressione sulla riduzione delle emissioni lungo l’intera catena del valore.

Tuttavia, sia lei che Zhuang ammettono che, se da un lato la crescente prevalenza dei prezzi interni del carbonio è positiva, dall’altro si tratta di una soluzione tutt’altro che ottimale.

Come sottolinea Zhuang, negli ultimi anni diverse major petrolifere hanno iniziato ad adottare prezzi interni del carbonio per valutare nuovi progetti, spinte dalla pressione degli investitori. In molti casi ciò ha portato aziende come Shell, Total e altre a disinvestire gli asset.

Purtroppo, troppo spesso la conseguenza è stata semplicemente uno spostamento degli attivi da un proprietario quotato in borsa a società private od operatori statali esteri, che hanno in molti casi uno scarso o nessun controllo da parte di investitori e altri stakeholder.

“Se tutto ciò che facciamo è spostare attivi da un tipo di società all’altro, non stiamo affrontando il cambiamento climatico. Questa è un’ulteriore argomentazione a favore di un meccanismo di carbon tax applicabile alle società, indipendentemente da chi sia il proprietario effettivo”, afferma Zhuang.

Quanto a Vroman, a suo parere sebbene la precisione nella contabilità del carbonio resti una sfida, soprattutto per le emissioni Scope 3 che tengono conto delle catene di fornitura e dell’uso dei prodotti, le iniziative regionali per la determinazione del prezzo del carbonio hanno avuto un impatto costringendo le società di vari settori ad adattarsi più rapidamente. Conclude infine che un approccio più coordinato dei governi su tutta la linea per quanto riguarda la determinazione dei prezzi del carbonio sarebbe “un potente catalizzatore per la decarbonizzazione globale”.

Purtroppo questo traguardo sembra ancora piuttosto lontano. In assenza di governi che impongano un prezzo esplicito a tutte le attività che emettono carbonio, i mercati difficilmente riusciranno a misurare con precisione i costi della transizione climatica che le singole società si trovano ad affrontare.

Tuttavia, secondo Vroman gli investitori possono cercare di identificare i vincitori e i perdenti a lungo termine di una transizione verso un mondo a basso tenore di carbonio. Lei e il suo team stanno investendo sia in fornitori di soluzioni per il cambiamento climatico, che consentono la transizione verso lo zero netto, sia in società pronte per la transizione che stanno rendendo le loro catene di valore resistenti al cambiamento climatico.

“La spinta verso un’ulteriore regolamentazione del clima a livello globale sta inevitabilmente accelerando il divario tra leader e ritardatari. Le società che stanno voltando pagina registreranno performance superiori nel lungo termine”, afferma.

Bibliografia

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  2. “COP21: UN chief hails new climate change agreement as “monumental triumph”, Nazioni Unite, 12 dicembre 2015
  3. Mark Evans, “Businesses march on Washington to demand action”, Better Society Network, 23 maggio 2019
  4. “Business, finance, academia and civil society call on the UK Government to lead high ambition carbon pricing club at COP26”, Circolare, 25 novembre 2020
  5. “Calls increase to use carbon pricing as an effective climate action tool”, United Nations Climate Change, 22 settembre 2020
  6. Ben Geman, “Yellen says Biden is "fully supportive" of carbon pricing”, Axios, 21 gennaio 2021
  7. Frank Watson, “ECB sees rapid progress on carbon pricing: Lagarde”, S&P Global Platts, 25 gennaio 2021
  8. Andrea Shalal, “IMF chief urges G20 to adopt carbon price floor to reach climate goals”, Reuters, 22 aprile 2021
  9. “U.S.-China joint statement addressing the climate crisis”, Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, 17 aprile 2021
  10. Jean Chemnick, “Cost of carbon pollution pegged at $51 a ton”, Scientific American, 1 marzo 2021
  11. Vitor Gaspar and Ian Parry, “A proposal to scale up global carbon pricing”, IMFBlog, 18 giugno 2021
  12. “Climate change – plotting our course to net zero - speech by Sarah Breeden”, Banca d’Inghilterra, 18 maggio 2021
  13. Anita Hafner, et al., ‘The importance of real-world policy packages to drive energy transitions”, IEA, 9 luglio 2018
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  15. Frédéric Branger e Philippe Quirion, “Would border carbon adjustments prevent carbon leakage and heavy industry competitiveness losses? Insights from a meta-analysis of recent economic studies”, Ecological Economics, Marzo 2014, vol 99.
  16. Leslie Hook, “John Kerry warns EU against carbon border tax”, Financial Times, 12 marzo 2021
  17. Frank Jordans, “Kerry says US examining carbon border tax, sees risks”, AP, 18 maggio 2021
  18. Ben Aylor, et al., “How an EU carbon border tax could jolt world trade”, BCG, 30 giugno 2020
  19. “Carbon pricing dashboard”, Banca Mondiale, 1 aprile 2021
  20. “Carbon pricing dashboard”, Banca Mondiale, 1 aprile 2021
  21. “International statistics: Environment”, Statistisches Bundesamt, 2021
  22. Sébastien Postic e Marion Fetet, “Global carbon accounts 2020”, Institute for Climate Economics, maggio 2020
  23. Vitor Gaspar and Ian Parry, “A proposal to scale up global carbon pricing”, IMFBlog, 18 giugno 2021
  24. Bank of America research paper, 2 febbraio 2021
  25. “European companies struggling with the world’s highest fuel costs”, UHY, 6 maggio 2014
  26. “European companies struggling with the world’s highest fuel costs”, UHY, 6 maggio 2014
  27. Vaclav Smil, “Germany’s Energiewende, 20 years later Germany’s far-reaching program to reduce the share of fossil fuels in energy has achieved almost exactly what the United States achieved, but at greater expense”, IEEE Spectrum, 25 novembre 2020
  28. Mark Evans, “Businesses march on Washington to demand action”, Better Society Network, 23 maggio 2019
  29. “Putting a price on carbon: The state of internal carbon pricing by corporates globally”, CDP, aprile 2021

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